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·28 maggio 2022

[FOOTBALL AFFAIRS] A Parigi il futuro: da Perez vs Ceferin a Macron e Mbappé

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La finale di Champions League che si giocherà stasera allo Stade de France tra Liverpool e Real Madrid è la terza disputata tra questi due giganti del calcio europea e rappresenta a suo modo un piccolo record: mai infatti l’atto finale della manifestazione più prestigiosa del calcio europeo era stato giocato tante volte. Ma al di là di questo la partita di Saint-Denis metterà di fronte, seduti molto vicini, quelli che posso essere ritenuti attualmente i due maggiori nemici del calcio mondiale: ovverosia il presidente dell’UEFA Aleksander Ceferin e il presidente dei blancos Don Florentino Perez, il principale motore e ideatore della Superlega, insieme ai suoi omologhi alla Juventus e al Barcellona, Andrea Agnelli e Joan Laporta.

Perez e Ceferin, dallo scoppio della Superlega, non si amano per niente e non fanno nulla per negarlo. In questo senso per l’avvocato sloveno la prospettiva di dover consegnare la coppa dalle grandi orecchie proprio nelle mani del suo principale nemico è uno dei suoi incubi maggiori. Non a caso in settimana, quasi a significare che comunque vada stasera a Saint-Denis, la partita più importante – quella della Superlega – l’ha vinta lui, in una intervista a Sky Sport ha spiegato: «Quel progetto è stato tutto tranne che “super”, ed è finito. Loro possono fare tutto quello che vogliono. Sono sicuro che sia sotto l’aspetto legale sia sotto quello morale, abbiamo ragione noi». L’avvocato di Lubiana ha poi aggiunto: «Sono sicuro che vinceremo alla Corte di Giustizia della Ue. […] Ad ogni modo, per me questo è un argomento chiuso. Magari qualcuno vuole insistere, ma c’è anche qualcuno che continua a insistere sul fatto che la terra sia piatta…».


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Il presidente dell’UEFA ha poi difeso il nuovo formato della Champions League (in vigore dal 2024) negando che possa avvantaggiare la Premier League, ovvero il suo principale alleato nel ribaltare la guerra della Superlega. «Non è vero. Non credo che le squadre inglesi saranno più rappresentate di oggi, ne sono certo. Avremo più squadre ma non necessariamente più squadre inglesi», ha aggiunto Ceferin.

Infine non è mancata la tirata d’orecchie al calcio italiano. «Società italiane in difficoltà con il nuovo FPF? Alcuni club italiani avrebbero dei problemi in ogni caso, al di là delle nuove regole del financial fair play. La candidatura dell’Italia a Euro 2032? Ho parlato molto con Gravina, il problema è che la situazione a livello di infrastrutture è terribile per un Paese di questo livello», ha concluso Ceferin.

Insomma Ceferin ha negato di aver fatto un piacere alla Premier League e al governo di Johnson, che nei fatti fu decisivo nel ribaltare a favore della UEFA la battaglia della Superlega, nella decisione sul nuovo format della Champions League. Johnson d’altronde, al di là delle dichiarazioni sul calcio del popolo, ne aveva fatto una questione geopolitica: in un mondo in cui ogni nazione combatte per fare emergere le proprie eccellenze, ospitare il campionato più prestigioso dello sport più popolare al mondo non può che assicurare al Regno Unito un ammontare impagabile di soldi e di ritorni sotto forma di interesse mediatico, di turismo sportivo e non da ultimo di entrate per l’erario britannico. E quindi non avrebbe mai permesso che nessun torneo alternativo potesse offuscare l’allure della Premier League. E fa niente se la nuova Champions League potrà portare all’eliminazione della Coppa di lega inglese penalizzando i club più piccoli.

Ma a rendere ancora più interessante la partita di stasera sempre restando nella geopolitica del pallone è che nella stessa tribuna, quasi a fare gli onori di casa (anche se si giocherà allo Stade de France e non al Parco dei Principi), sarà Nasser Al-Khelaifi, il presidente del Paris Saint-Germain che, insieme al Bayern Monaco e al succitato governo britannico, fu un altro dei principali alleati di Ceferin nel rintuzzare l’offensiva della Superlega. Non a caso nel frattempo il manager qatarino è divenuto il presidente dell’ECA (al posto di Andrea Agnelli) e non certo meno importante ha rinnovato il contratto di Kylian Mbappé al PSG con un accordo monstre da 50 milioni a stagione più 120 milioni al momento della firma.  E qui qualsiasi ironia sul calcio del popolo è lecita.

Al-Khelaifi, al pari di Ceferin, non ha un buon rapporto con Perez e in settimana ha tuonato contro il numero uno dei blancos – «rispetto tutti ma non ho un buon rapporto con lui» -, probabilmente perché reo di aver tentato di soffiargli Mbappé. E probabilmente avrebbe potuto farcela se oltre alla offerta faraonica proposto da Al-Khelaifi non fosse intervenuta anche qui la politica nelle vesti niente meno che sia dell’attuale presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron sia dell’ex numero uno dell’Eliseo Nicolas Sarkozy.

Mai infatti i massimi livelli dell’alta politica francese si era esposta in questa maniera per un giocatore. Macron, che sebbene sia tifoso dell’Olympique Marsiglia (per quanto nato e cresciuto nel nord della Francia), si è speso in prima persona per trattenere Mbappé nella Ville Lumiére. «Io e il presidente ci siamo parlati un po’ di volte, mi ha dato buoni consigli. Il presidente voleva che restassi, questo ha fatto parte delle trattative», ha spiegato l’attaccante. «Non ho detto no al Real Madrid, ho detto sì al PSG e alla Francia. Macron fa parte delle diverse persone con cui ho parlato. Questo mostra che il calcio è cambiato, e che ha un posto importante nella società. Capisco la mia importanza nel Paese. Penso che non fosse il momento giusto per andarmene dalla mia città e dalla Francia».

Sarkozy invece è un grande tifoso del PSG e si narra che sia proprio grazie ai suoi uffici quando era all’Eliseo che nel 2011 venne spianata ai qatarini l’acquisto del PSG. Secondo i media transalpini, Sarkozy avrebbe spiegato a Mbappé: «Il PSG non ha mai vinto la Champions League. Loro ne hanno già vinte 13 e tu sei un uomo che ama le sfide» per spronarlo a portare la prima Champisons a Parigi.

L’idea che circola Oltralpe infatti è quella di fare diventare Mbappé simbolo del calcio francese ancora più di quanto non lo sia ora e ancora di più di quanto nel passato lo siano stati Zinedine Zidane o Michel Platini. Parigino della banlieu, Mbappè dovrebbe essere quello che porterà finalmente la Champions League a Parigi, facendo arrivare la capitale francese nel gotha del calcio europeo non solo per i soldi a disposizione ma anche per il palmares. «Non ho detto no al Real, ho detto sì alla Francia», ha spiegato Mbappé durante la conferenza stampa per il rinnovo sino al 2025.

Non solo, ma come è emerso in settimana esiste già un accordo tra la federazione e il PSG perché il fuoriclasse possa partecipare con la selezione olimpica transalpina a Giochi Olimpici di Parigi 2024. Sempre tenendo presente che alla scadenza del nuovo contratto nel 2025 Mbappé non avrà nemmeno 27 anni e potrà eventualmente ancora trasferirsi al Real Madrid o a un altro top team storico con diversi anni di carriera davanti a sè.

Insomma anche la Francia vuole iscriversi a questa gara tra nazioni per sfruttare al meglio il fenomeno calcio in termini non solo economici ma anche simbolici. E ha messo in atto una manovra politico-economico d’altissimo livello. Tanto che prima Al-Kheraifi ha sfidato apertamente il presidente della Liga Javier Tebas. «Le cose che dice non sono un problema mio. Potrebbe temere che la Ligue 1 diventi migliore della Liga… Siamo concentrati sul nostro club, sul nostro campionato e sul miglior giocatore del mondo», l’attacco del numero uno del club parigini.

E poi lo scontro è sfociato in una durissima lettera del presidente della Ligue 1 Vincente Labrune alla Liga spagnola e al suo presidente Tebas. Missiva nella quale i transalpini hanno spiegato: «Vogliamo esprimere nei termini più forti possibile la nostra disapprovazione, e anche la nostra incomprensione, per i tuoi ultimi attacchi contro la Ligue 1 e uno dei nostri club. […] In relazione alla stabilità finanziaria e alla sostenibilità, due dei vostri club – Real Madrid e Barcellona – hanno battuto una moltitudine di record negli ultimi dieci anni. […] In termini di debito, si dice che Barcellona abbia un livello di debito di 1,5 miliardi di euro, e questo nonostante la Corte di giustizia europea abbia ritenuto che il Real Madrid e il Barcellona abbiano beneficiato di aiuti di Stato illegali».

E l’Italia in tutto questo? In settimana l’amministratore delegato dell’Inter Giuseppe Marotta ha tracciato un quadro desolante. «Nel 2000 eravamo l’Eldorado del calcio, sia in termini di qualità del prodotto, sia per fatturato che per gli ingaggi dei giocatori, che venivano e finivano la loro carriera qua. Oggi il nostro campionato è di transizione, i calciatori vengono e vogliono andare via, ne ho avuto un esempio con Lukaku e Hakimi, che arrivavano dal Manchester United e dal Real Madrid, che al termine della stagione hanno chiesto di andare via», ha detto l’AD del club nerazzurro.

Parole di un dirigente che sa di non avere una proprietà forte in questo momento? La statura del personaggio, probabilmente il miglior dirigente sportivo italiano attualmente, spazzano via qualsiasi dubbio. Il grido d’allarme è reale, è basato su fatti incontrovertibili e malgrado l’elettrizzante finale di campionato (unico torneo aperto sino all’ultima giornata tra le top league insieme a quello inglese) non si deve dimenticare la magra figura delle italiane nella Champions che termina stasera: nessuna rappresentante ai quarti.

In tutto questo il calcio italiano dovrebbe fare un monumento a José Mourinho, che dopo 12 anni ha portato in Italia un titolo internazionale vincendo al Conference League con la Roma. L’ultimo ad esserci riuscito per altro era stato lo stesso Mourinho ai tempi del Triplete interista. In questa sede sarebbe pleonastico parlare delle abilità tecniche dell’allenatore portoghese. Il suo palmares basta e avanza a spegnere qualsiasi discussione. Ma qui si vogliono sottolineare le abilità istrioniche che in più di un’occasione sono state capaci di dare maggior tono a un intero movimento.

Ai tempi dell’Inter il mantra “zeru tituli” aveva dato lustro come non mai sia alla Coppa Italia che alla Supercoppa italiana. Mourinho nei fatti diede dignità e di “titulo” a manifestazioni sino ad allora quasi snobbate dai grandi club impegnati nella corsa al titolo nazionale o ai titoli europei (a quell’epoca ottenibili), nei fatti importando il concetto inglese di “silverware” e questo è ora è manna per gli uffici marketing delle varie società.  La Juventus 2020/21, pur andando male in campionato, salvò la stagione con “due tituli” come Coppa Italia e Supercoppa e l’Inter, avendo mancato lo scudetto, può dire lo stesso nella stagione appena terminata.

Lo stesso dicasi per la Conference League. Quando la UEFA ne annunciò il varo non furono pochi quelli che storsero il naso. Ma le scene di euforia di Roma spiegano meglio di qualsiasi altra cosa quanto vale significa vincere un trofeo europeo. E la UEFA e l’italia non potevano trovare in Josè Mourinho promotore migliore.

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