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Redazione·5 febbraio 2019
Esclusiva OF - Vi racconto Hamsik, nato pronto: da Brescia al Vesuvio

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Redazione·5 febbraio 2019
Il capitano azzurro saluterà il Napoli dopo 12 stagioni, 519 presenze e 121 gol. Va al Dalian Yfang, nella Super League cinese.
Lascia dopo 12 anni all’ombra del Vesuvio, una carriera italiana iniziata a Brescia.
A Onefootball in esclusiva il contributo di Daniele Bonetti, giornalista bresciano, che racconta la sua vicinanza con lo slovacco al suo arrivo in Italia nel 2007.
Quando gli feci la prima intervista della sua carriera calcistica, sotto un cornicione al riparo dalla pioggia, dopo un allenamento con la Primavera del Brescia, avevo già chiara l’idea, per quanto visto in campo, di aver visto un giocatore diverso.
Forte, fortissimo: Marek Hamsik, all’epoca dei fatti, 17 anni appena compiuti.
Accadde in un campo alla periferia di Brescia, zona nord, dove si allenava la Primavera del Brescia.
Luciano De Paola che mi chiamò prima dell’allenamento.
Ciao, devi venire al campo, abbiamo preso un giocatore vero, qualcosa fuori dal comune
Poche parole, sufficienti per farmi andare a conoscerlo.
Era il settembre del 2004: a centrocampo c’era un ragazzino di pochi muscoli e molto cervello capace di giocare sempre a due tocchi.
Era Marek Hamsik, preso dagli osservatori biancazzurri Maurizio Micheli e Leonardo Mantovani dallo Slovan Bratislava.
Pochi minuti dopo Hamsik rilasciò la prima intervista della sua carriera: conosceva l’inglese ma era di poche parole, sufficienti a far capire come la sua mentalità, fatta di concretezza, non fosse così diversa dalla sua idea di calcio, avara di fronzoli, ricca di fatti.
Pochi giorni dopo si accese la stella di Hamsik: trascinatore con la Primavera.
Indimenticabile il suo esordio casalingo contro l’Atalanta una domenica mattina.
Un’ora prima della partita venne timidamente a chiedermi se potevo accompagnare Giuseppe Calarco, difensore di belle speranze che con lo slovacco divideva un appartamento, a prendergli il passaporto perché lo aveva dimenticato e gli serviva per poter giocare.
Detto e fatto, Hamsik in campo, gol vittoria su rigore nel derby in diretta su Sky Sport.
Maglia numero 10, posizione in campo, trequartista alle spalle di due punte.
In tribuna Martina, la fidanzatina arrivata proprio dalla Slovacchia.
Un’altra Martina, anche lei slovacca, giocatrice di pallamano e compagna di squadra della sorella di Marek, qualche anno dopo, convolerà a nozze con Hamsik dandogli Christian, Lucas e Melissa.
Il Brescia dei grandi si accorse subito di lui: non De Biasi, ma Cavasin che lo fece esordire contro il Chievo pochi mesi dopo.
A quel punto l’escalation non conobbe freni: il Brescia, che l’aveva pagato 60mila euro, lo vendette al Napoli per poco più di 5 milioni di euro.
Operazione necessaria per la sopravvivenza del club e per lasciare andare quel ragazzo di poche parole arrivato con i capelli a spazzola e andato via con una cresta divenuta suo marchio di fabbrica.
Napoli troppo calda per uno slovacco? Troppa pressione per chi ama stare per conto suo?
Nemmeno per sogno perché ad Hamsik riesce quel gioiello di alchimia che di fatto l’ha reso unico.
Un gioco di prestigio che a compagni come Cavani, Higuain e Lavezzi non è riuscito.
Per questo Hamsik ora può andare in Cina a chiudere la sua carriera con il miglior contratto nella sua vita, ma non su una macchina con i vetri oscurati o in piena notte.
La linearità e la sincerità del suo rapporto con i napoletani consente a questo re del Napoli del terzo millennio, di lasciare il suo regno senza rinunciare al trono.
Un riconoscimento unico, esclusivo, meritatissimo.