Emanuele Dotto, la voce del grande sport si racconta: «La sclerosi, mia moglie e quella volta con Galeazzi. Ho visto, raccontato e mi sono divertito» | OneFootball

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·25 giugno 2025

Emanuele Dotto, la voce del grande sport si racconta: «La sclerosi, mia moglie e quella volta con Galeazzi. Ho visto, raccontato e mi sono divertito»

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Le parole di Emanuele Dotto, voce storica del calcio italiano per Tutto il Calcio Minuto per Minuti a la Repubblica

Emanuele Dotto, una delle voci leggendarie del calcio italiano, si è raccontato in una lunga intervista a la Repubblica. Di seguito le sue parole.

LA MALATTIA E UN MONDO PIÙ PICCOLO – «Un mese dopo essere andato in pensione mi è stata diagnosticata la sclerosi multipla progressiva. Avevo 67 anni e 6 mesi, ora ne ho appena compiuti 73 e ogni giorno è un giorno guadagnato. Sono stato sette volte in Australia e altrettante in Cina, ma adesso il mondo lo vedo come il giardino della scuola elementare di Genova Quinto, dove trascorro il tempo in carrozzina ascoltando musica, leggendo e sopravvivendo. Ho avuto molto, e molto mi è stato tolto, però nel cambio ci guadagno. E ora trovo bella anche Alessandria».


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L’IRONIA E IL SOSTEGNO DELLA FAMIGLIA – «Bisogna scherzarci un poco. Peggioro lentamente, ma senza prospettiva, e non ce la farei senza mia moglie Marina e mia figlia Emanuela. Il corpo sta andando dove vuole, la mente e la memoria per fortuna no».

I MAESTRI DI “TUTTO IL CALCIO – «A Tutto il calcio minuto per minuto c’erano maestri veri. Roberto Bortoluzzi: capace, colto e gentile. Massimo De Luca, un signore. Enrico Ameri, con quell’incredibile rapidità di parola e duttilità nel racconto. Sandro Ciotti, che commentando un clamoroso errore commesso in un Lazio-Milan disse: “Ha arbitrato il signor Lo Bello di Siracusa davanti a 80 mila testimoni”. Fuoriclasse. Oggi urlano tutti troppo, in radio e in tivù».

LA MESSA CANTATA DELLA DOMENICA – «Perché il campionato era la messa cantata della domenica, con tutte le partite in contemporanea: prima si andava in chiesa, poi il pacchetto dei pasticcini, infine il pomeriggio allo stadio o alla radio».

L’ESORDIO NELLA NEBBIA (CON MAROTTA) – «Varese-Lazio 1-1, gennaio ’82: una nebbia spaventosa impedì di vedere i gol. Domandai la cortesia al dirigente del Varese, di nome Beppe Marotta, di scendere negli spogliatoi e informarsi sui marcatori. Così cominciò la nostra grande amicizia: sono il padrino dei suoi figli».

LA SECONDA RADIOCRONACA (DA CASA) – «Non proprio. Milan-Pro Cavese in B, peccato che nessuno mi avesse avvertito che ero incaricato del servizio. Bortoluzzi chiamava “Milano, Emanuele Dotto”, e io ero a casa mia. Papà stava ascoltando la radio e si spaventò a morte».

I MOMENTI DRAMMATICI AL MICROFONO – «Mi toccò annunciare, per primo, che a Marassi era morto un tifoso del Genoa, Vincenzo Claudio Spagnolo detto Spagna, accoltellato da un ultrà del Milan: era il 29 gennaio 1995. Oppure, dopo un Atalanta-Avellino, primo tempo 3-0, risultato finale 3-3, alcuni esagitati bergamaschi misero a ruote all’aria l’auto della Rai. La Rai: ci sono rimasto dal 1980 al 2019».

L’INCIDENTE CON GALEAZZI “AIRBAG” – «A Maceió, in Brasile, dove eravamo per il tennis, la nostra Dune Buggy diede il giro: bisteccone Galeazzi fece da airbag umano, lui, il sottoscritto e il collega Marco Fiocchetti la scampammo bella».

GLI INIZI: LE BR E IL GETTONE TELEFONICO – «Era il giugno 1976, collaboravo con il Corriere Mercantile di Genova e arrivai per caso in Vespa insieme a mio fratello Matteo sul luogo dove le Brigate Rosse avevano appena ucciso il giudice Francesco Coco e due uomini della scorta, in salita Santa Brigida. Presi di tasca il gettone telefonico e dettai il servizio al giornale, a braccio, cioè senza scrivere».

L’ASSUNZIONE DI MONTANELLI – «No, il Giornale di Montanelli, edizione genovese. Nella lettera di assunzione, il direttore fece scrivere: “Si assume il giornalista professionista Emanuele Dotto…”. Dissi garbatamente che non avevo ancora superato l’esame, e Montanelli rispose: “Se non lo passi non ti prendo”. Lo passai».

LE CITAZIONI COLTE E CARAVAGGIO «Ho sempre amato visitare musei e chiese. A Lerma, il mio paese, c’è un meraviglioso dipinto quattrocentesco di Barnaba da Modena: mi chiedo perché la gente vada alle Maldive, invece di visitare la chiesa di San Secondo ad Asti. Il giorno della finale di Usa ’94 non ero di servizio, però avevo l’accredito: preferii noleggiare un’auto e raggiungere il Kimbell Art Museum di Fort Worth, nel Texas, per ammirare I bari di Caravaggio. Ricordo le carte nella fusciacca di un baro: 7 di cuori e 6 di fiori».

IL RICORDO DI MOANA POZZI – «Una ragazza sveglia e bravissima, andava sempre a messa. La sua mamma Rosanna, la donna più bella di Lerma, era amicissima di mia mamma Rosetta. Moana a 14 anni vinse il suo primo concorso di bellezza: Miss Fungo. Voleva fare l’attrice, era molto intelligente».

LA VOCAZIONE NATA IN PARROCCHIA – «Tutto merito di zio Emanuele, sacerdote. Era anche detto “il prete del giornale rosa” perché leggeva sempre la Gazzetta. Quando c’erano il Giro o il Tour, dall’altoparlante della parrocchia di Orsara Bormida si alzavano le voci dei radiocronisti che riempivano la valle».

LA SINTESI DI UNA VITA – «Ho visto, ho guardato, ho raccontato, mi sono divertito».

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