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Riserva di Lusso

·13 maggio 2021

E comm’è bell a ess pisciaiuo’

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Un traguardo inatteso, insperato ad inizio stagione, ma con il passare delle giornate sempre più andato tramutandosi da sogno an obiettivo realmente raggiungibile. Un traguardo che ha posto la parola fine su un’attesa lunga ed estenuante, a tratti incredibilmente dolorosa per il popolo salernitano, durata ben 23 anni, che agli occhi di chi l’ha vissuta sarà apparsa lunga un secolo. Ma ora lo sguardo non può che volgere al futuro, perché la Salernitana è finalmente tornata in Serie A.

Inferno, purgatorio, paradiso

10 maggio 2020. Un giorno che senza ombra di dubbio si appresta a rimanere per sempre impresso nel cuore dei tifosi granata, avendo segnato la data del tanto agognato ritorno in Serie A. Soltanto la terza promozione nel massimo campionato per i campani dopo quelle del ’47 e del ’98, quest’ultima cui appunto si accennava in apertura. Due esperienze che si sono poi sfortunatamente – e particolarmente nel 98/99, quando oltre alla rocambolesca retrocessione all’ultima giornata per un solo punto, si aggiunse la strage che costò la vita a quattro tifosi granata – limitate alla singola stagione di permanenza, prima del ritorno nella serie cadetta. E se vogliamo, si può far risalire proprio a quell’ultima retrocessione l’inizio dell’inferno per la Salernitana.


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Il nuovo millennio ha rappresentato (almeno fino ad oggi) una vera e propria discesa agli inferi per i campani, a discapito dell’exploit avvenuto invece negli anni immediatamente precedenti. Delio Rossi era infatti tornato a Salerno per la stagione 97/98, ed era riuscito incredibilmente a riportare la Serie A all’Arechi a distanza di più di 50 anni dall’ultima, lui che aveva oltretutto già contribuito a riportare il club in Serie B nel 93/94 dopo la retrocessione avvenuta ad inizio decennio.

Da quelle due stagioni nascerà una squadra al di là dei risultati indimenticabile per il popolo granata, diventata allo stesso tempo una squadra di culto non solo per loro, ma per tutti i grandi appassionati, soprattutto quelli più nostalgici. Basti ricordare alcuni nomi che poi, con il passare degli anni, avrebbero finito con il conquistare il cuore dei propri tifosi e non ai più svariati livelli. Gattuso, Di Vaio, Marco Rossi, Di Michele, Vannucchi sono tutti calciatori che chi ama a fondo questo sport non ha potuto non ammirare con sentimento, qualche volta anche con una punta di rammarico per quello che alcuni di loro avrebbero potuto essere, e non sono mai stati.

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Purtroppo i ricordi del massimo campionato sono presto sembrati apparire lontani una vita quando le cose sono iniziate a precipitare, a soltanto pochi anni di distanza da quella retrocessione in Serie B. Nell’estate del 2005 arriva la prima batosta. Al contrario di quanto affermava il presidente Alberti – che per protesta iscrisse poi la squadra addirittura in terza categoria – i debiti societari vengono dichiarati insolvibili, e il club viene di conseguenza radiato per inadempienza finanziaria, con la successiva liquidazione fallimentare. Il titolo societario verrà poi acquistato da un gruppo di imprenditori capeggiato da Antonio Lombardi, che permetterà alla Salernitana di ripartire dalla C1 anziché dalle serie minori, seppur momentaneamente sprovvista dei propri simboli storici che verranno riacquistati solo successivamente.

Vietato tuttavia pensare che la tempesta sia finita qui. Ad appena sei anni di distanza, infatti, dopo il termine del campionato di prima divisione di Lega Pro, dove oltretutto la formazione si era vista sconfitta in finale play-off, arriva il secondo fallimento societario a distanza ristretta. Questa volta la ferita apertasi è ancora più ampia, il tonfo ancor più fragoroso. La Salernitana sarà costretta a ripartire dalla Serie D, scendendo quindi tra i dilettanti dopo oltre novant’anni di professionismo. Una doppia fitta al cuore in un arco di tempo così breve, che appare semplicistico definire “difficile” da assorbire per qualsiasi tifoso.

Ed è a questo punto della storia che entrano in scena le figure di Claudio Lotito e Marco Mezzaroma, il cui approdo ha fuor di dubbio segnato una svolta nell’ambiente, e a cui oggi va riconosciuto il merito di aver riportato il club in Serie A, seppur con una gestione rivelatasi tutt’altro che impeccabile nel tempo. Saranno gli anni della risalita dall’inferno al purgatorio, da alcuni punti di vista dimostratisi ancor più difficili delle annate del fallimento. Anni di contestazioni, diverbi e anche divisioni, fatti di momenti capaci di mettere a dura prova persino la solidità di una piazza come quella salernitana.

Sono state le annate della Serie C, delle salvezze in Serie B conquistate solo ai play-out sudando sette camicie, delle false promesse e delle false speranze, delle contestazioni, ma in fin dei conti di una dimostrazione di attaccamento alla maglia al di là di tutto e tutti. Stagioni di sofferenza che a modo loro hanno avuto parte nel raggiungimento del traguardo appena festeggiato, e che oggi probabilmente contribuiscono ad aumentare la gioia per questo ritorno granata in paradiso.

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La Salernitana torna in Serie A. Ok, e ora?

È la domanda che si sono posti un po’ tutti nelle ultime 48 ore. Il motivo è ovviamente il ruolo ricoperto da Lotito nelle due società, in quanto proprietario sia della Lazio che della Salernitana. Un’eventualità non permessa dal regolamento FIGC vigente, e che ha naturalmente finito per scatenare tra le altre cose anche l’ironia social, come sono sicuro abbiano tutti notato. Al di là di ciò, è però alquanto improbabile che il pluri-patron non abbia già progettato da tempo qualcosa in merito nel caso di una promozione. Sarebbe un atto che andrebbe decisamente in contraddizione sia con la figura sportiva, ma soprattutto imprenditoriale del romano, sempre attento a questioni di tal tipo, a maggior ragione se con l’aggravante di un rischio di pesanti perdite dal punto di vista economico.

Tralasciando l’aspetto societario, è altrettanto indubbio che chiunque prenderà le redini del club si troverà di fronte all’obbligo di compiere uno sforzo piuttosto importante per portare la squadra realmente ai livelli del massimo campionato. Una constatazione che ovviamente nulla vuole togliere alla grandissima stagione fatta dall’attuale rosa, che nell’arco dell’annata ha dimostrato a più riprese una compattezza sconosciuta a quasi tutte le avversarie. I campani hanno man mano assunto consapevolezza con il passare delle partite e, pur non esprimendo un gioco spumeggiante, sono spesso riusciti ad avere la meglio sui propri avversari grazie all’organizzazione e alla concretezza nel fare le cose. Semplici, ma fatte bene insomma.

In tutto ciò c’è però da dire che se in molti non osavano nemmeno sperare nella promozione, i motivi di tale scoraggiamento non erano solamente riconducibili alla scarsa fiducia nei vertici societari. E ad inizio stagione in effetti la squadra non appariva di certo tra le papabili candidate al salto di qualità, soprattutto nel momento in cui la formazione veniva comparata alle altre formazioni più quotate. Anche perché priva di elementi di “hors catégorie” rispetto a queste ultime, che magari già figuravano in campo con un impianto portante “da Serie A”.

Con il tempo è però venuta fuori la lunghezza e la varietà della rosa a disposizione di Castori, il quale ha avuto a disposizione un buon numero di ricambi al livello dei titolari e con diverse pedine da usare come variabili – in particolare quelle attuabili in attacco a seconda della coppia di giornata, che sarebbero andati a formare due tra Djuric, Tutino, Gondo e Anderson, con ogni accoppiamento dotato di caratteristiche diverse tra loro – di gioco sia in corso d’opera che a freddo in base all’avversario di giornata. Una forza su cui davvero in pochi nella lega potevano contare, e che alla lunga avrà fatto indubbiamente la differenza nel decretare le sorti del campionato.

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Alla squadra è però innegabile che sia mancata una vera guida tecnica, più che caratteriale – ruolo nel quale invece si è imposto alla grande il capitano Di Tacchio, ben coadiuvato oltretutto dagli altri veterani della squadra – e che non è mai riuscita a trovare davvero, aggrappandosi di volta in volta all’elemento maggiormente in palla del momento (basti vedere il caso Gondo delle ultime cinque giornate, con 4 gol messi a segno a fronte di 5 complessivi). Innegabile il ruolo chiave svolto da Tutino (13 gol e 3 assist), di gran lunga il giocatore più determinante della squadra, eppure spesso troppo assente in alcuni momenti del campionato per le qualità possedute.

Sarà dunque fondamentale in tal senso trovare una manciata di giocatori che indichi la via ad un gruppo in cui, salvo alcune comparse, non vi è praticamente alcuna confidenza con la Serie A. La compattezza data da Castori alla squadra rappresenta un buon punto di partenza su cui porre le basi per la tranquillità di tutti i calciatori, la cui reazione alla nuova realtà rimarrà comunque un’incognita sino allo spegnimento dei semafori alla partenza del nuovo campionato.

Inevitabile che qualcuno (molti) si veda costretto a lasciare la barca anzitempo, e che diversi in più arriveranno al loro posto. Come avviene dunque ogni anno con la gran parte delle neopromosse, risulta quasi impossibile immaginare gli scenari futuri, e in questo senso la Salernitana ha dinanzi a sé l’ulteriore nebbia della situazione societaria che non migliora le cose. Inutile fare previsioni: in questo momento, la scelta più vantaggiosa, e non solo per i tifosi, è quella di godersi il momento lasciando almeno per un secondo il futuro da parte.

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Finalmente la Salernitana

Salerno è una di quelle piazze speciali, il cui tifo se conosciuto dall’interno finisce per toccarti immancabilmente, o quantomeno all’occhio diviene meritevole di tutta l’ammirazione e il rispetto di chi conosce bene cosa significhi vivere lo stadio come una seconda pelle. E personalmente, ma non credo di essere l’unico, penso sia un enorme peccato che un ambiente del genere abbia vissuto così poco le suggestioni che solo la Serie A sa regalare – non me ne vogliano le serie inferiori, che anzi spesso ritengo più romantiche di quanto il campionato maggiore possa mai essere.

Sono passati 23 anni dall’ultima volta, e di cose ne son successe tante. C’è chi si appresta a vivere questa nuova esperienza potendo solo contare sui racconti sentiti riguardo l’ultima avventura in A. Chi ne ha solo un fioco ricordo perché all’epoca bambino, ed oggi invece si trova adulto; oppure chi lo era all’epoca e magari domani ne approfitterà per tornare in quello stadio dove una volta aveva ancora la forza per saltare ed urlare a squarciagola. Chi magari invece c’era allora, e adesso semplicemente non c’è più.

Davanti a certi eventi viene sin troppo difficile guardare al lato materialista delle cose, che comunque conserva ineluttabilmente la propria importanza. Alcune volte la strada migliore, e allo stesso tempo più semplice, è quella di far finta di niente, di tapparsi le orecchie davanti alle incombenze del futuro. Oggi l’importante è guardare al presente, alla realizzazione di quello che per tanti era molto più di un sogno, e la cui gioia rimarrà a prescindere da come andrà il futuro. La felicità di un momento che nessuna retrocessione potrà cancellare. Perché “è semp bell a ess pisciaiuo”, ma oggi lo è ancora di più.

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