Calcio e Finanza
·25 giugno 2025
Diego Piacentini, l’ex braccio destro di Jobs e Bezos con un ruolo in Exor: «Per me l’Inter è famiglia»

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·25 giugno 2025
L’Inter di Cristian Chivu si appresta a giocarsi il passaggio del turno agli ottavi di finale del Mondiale per Club. L’avversario dei nerazzurri sarà il River Plate e potrebbe bastare anche un pareggio a Lautaro Martinez e compagni in quel di Seattle.
In attesa di scendere in campo, il fischio di inizio della sfida è in programma alle 03.00 di giovedì (orario italiano), nella città dello stato di Washington, risiede un tifoso interista d’eccezione come Diego Piacentini, ex braccio destro di Jeff Bezos che vanta una grande esperienza in aziende come Apple (dal 1987 al 2000) sia appunto in Amazon (dal 2000 al 2016). Inoltre, oggi Piacentini è presente nell’investment comitee (nonché ex presidente) di Vento, fondo privato di venture capital di Exor Ventures e di Exor, la holding degli Agnelli-Elkann azionista di maggioranza tra le altre della Juventus.
«L’Inter per me è famiglia – ha esordito Piacentini al La Gazzetta dello Sport –. Qualcosa che appartiene a me, a mia moglie Monica, ai nostri figli ancora prima che nascessero. Mio padre era a San Siro per la finale di Coppa dei Campioni contro il Benfica nel 1965. La mia prima volta allo stadio fu nei primi anni ’70 contro la Fiorentina: ricordo ancora l’ombrello nei popolari scoperti. Ancora oggi, attraverso l’Oceano pur di vederla giocare».
Un legame che ha portato Piacentini a viaggiare per l’Europa per seguire l’Inter: «Sicuramente fra le trasferte che ricordo con più piacere ci sono le tre finali di Champions dal 2010 a oggi, ma ovviamente la prima – quella di Madrid – è la più speciale. Ricordo che ero così pieno di impegni che quasi non partivo. Mia moglie mi disse: “Tu lavora, io ci vado con i ragazzi”. Alla fine, ho sistemato tutto. Mio figlio, invece, saltò il classico ballo di fine anno del liceo, per andare a vedere l’Inter: perse una ragazza, ma guadagnò una Champions».
Diego Piacentini (foto da video)
«La finale di Monaco per me quella non è mai esistita – ha continuato Piacentini –. Preferisco ricordare la semifinale, con il gol incredibile di Acerbi. L’ho vista qui da Seattle, mentre mia moglie era a San Siro. Per la tensione, ha avuto dolori muscolari per quattro giorni».
Il Mondiale per Club ha portato l’Inter proprio a Seattle: «Ho incontrato la dirigenza e parlato con Marotta e con i rappresentanti di Oaktree. Mi hanno dato l’impressione di essere persone competenti, con le idee molto chiare. Il mio primo contatto con la società, però, risale al 1999: allora lavoravo in Apple Europa. Mi chiamò Milly Moratti perché voleva sostituire i computer in sede con dei Mac, e non sapeva nemmeno che fossi interista. E non solo interista qualunque».
«Nel Natale 2019 ci scambiavamo le maglie in famiglia – ha concluso Piacentini –. Mio figlio si lamentò di aver ricevuto quella di Barella invece di Lukaku. Oggi possiamo dire che è stato fortunatissimo. In passato ho amato l’eleganza di Djorkaeff, e prima ancora la potenza pura di Rummenigge: una vera forza della natura».