DirettaCalcioMercato
·9 aprile 2025
Danilo sul ritorno in Brasile: “Sembrava non ci fossero possibilità. Poi le cose sono cambiate”

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·9 aprile 2025
Danilo, ex capitano della Juventus, ha rilasciato alcune dichiarazioni in merito al suo ritorno in Brasile ai microfoni del podcast Muito Alem do Desporto.
“Ho sempre detto che non sarei tornato in Brasile, che sarebbe stato molto difficile. Ma per fortuna abbiamo la possibilità di riformulare le idee, riformulare i pensieri, perché forse, se avessi continuato dritto su quella linea di non tornare nel calcio brasiliano, non starei vivendo alcune emozioni che, in così poco tempo, sto già provando”.
Danilo, perché il Flamengo? “Doveva essere il Flamengo. Perché da bambino, lì a Bicas, sono sempre stato un tifoso accanito, fanatico del Flamengo. Quando il Flamengo segnava un gol, correvo per strada festeggiando. Doveva essere il Flamengo, perché avevo bisogno di vivere questo e farlo vivere anche ai miei genitori, ai miei fratelli, che sono anche loro tifosi del Flamengo”.
I motivi dietro questa scelta? “Il mio ritorno in Brasile ha molto a che fare con il calcio. Ha molto a che vedere con ciò che ho imparato in termini di mentalità, esperienza e cultura calcistica in tutti i paesi in cui sono stato. Ma ha anche molto a che fare con l’aspetto sociale. Credo che il mio ritorno, così come quello di altri grandi atleti come Oscar, Lucas Moura, Neymar, Alex Sandro, abbia un significato profondo. Sono giocatori che hanno vissuto molti anni in Europa e hanno conquistato tutto. E molto più che i titoli, hanno conquistato un rispetto che forse i giocatori del passato non avevano. Non sto parlando di qualità o cose del genere, ma di rispetto nel senso che quasi tutti noi eravamo capitani. La maggior parte di noi è rimasta a lungo nei club, facendosi coinvolgere davvero dalla cultura del club e del Paese. Abbiamo imparato le lingue dei posti in cui abbiamo vissuto.
Quindi tutti noi stiamo tornando con un bagaglio molto diverso, che deve essere usato in modo deciso per quanto riguarda l’aspetto sociale. Con l’immagine che rappresentiamo per le nuove generazioni, con quello che possiamo ispirare in loro. Credo che la mia inquietudine mi abbia riportato in Brasile proprio per questo motivo, e accetto questa responsabilità e questo ruolo. E spero di riuscire a trovare i modi giusti per farlo”.
Danilo quindi ripercorre alcuni passi della sua carriera: “Ero in un percorso di crescita professionale davvero veloce. All’América Mineiro, dove sono cresciuto calcisticamente. A 18 anni sono andato al Santos di Neymar e Paulo Henrique Ganso. Dopo un anno e mezzo, un anno e dieci mesi, sono stato venduto al Porto. Sono rimasto altri sei mesi per giocare il Mondiale per Club. Quindi sempre in una parabola ascendente incredibile. Al Porto ho avuto qualche difficoltà all’inizio, forse, ma sono andato sempre avanti. Poi il Real Madrid, e lì ho pensato: ‘Amico, questo è il curriculum e il percorso perfetto per una carriera.’ Ma è stato proprio al Real Madrid che ho iniziato ad avere problemi che non avevo mai avuto prima, nemmeno quando magari non guadagnavo bene o non ero conosciuto. Problemi emotivi, mentali. E lì forse è stato il momento più difficile: ‘Chi può aiutarmi? Nessuno può aiutarmi.’ All’América Mineiro, a volte non c’era nemmeno da mangiare, niente colazione. Mi allenavo, superavo tutto. E ora che sono qui al Real Madrid, guadagno bene, sono conosciuto, ho macchina, casa, tutto perfetto… ho bisogno di aiuto.
Allora ho detto: ‘Va bene, ascolterò uno psicologo dello sport.’ E da lì ho fatto la prima seduta e mi ha dato un conforto che non provavo da tanto tempo. E mi sono davvero aperto a quella possibilità. Ho pensato: ‘Forse è proprio ciò di cui avevo bisogno, qualcosa che mi aiuterà davvero.’ E io avevo tanti pregiudizi, difficoltà ad accettare che qualcuno potesse aiutarmi in qualche modo. Ma da quel primo incontro ho pensato: ‘Ok, facciamone un altro la prossima settimana, vediamo che succede. Già mi ha aiutato.’ E da lì ho detto: ‘Voglio farlo ogni settimana’