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Calcio e Finanza

·12 giugno 2025

Dalla tv alla comunicazione: la strategia di Claudia Garcia per trasformare i calciatori in un brand

Immagine dell'articolo:Dalla tv alla comunicazione: la strategia di Claudia Garcia per trasformare i calciatori in un brand

Claudia Garcia è un volto noto del giornalismo sportivo, fra collegamenti televisivi, prime pagine e inchieste dal respiro internazionale. Oggi, però, la sua voce risuona soprattutto dietro le quinte, dove guida con mano esperta Savoir Sport, l’agenzia da lei fondata che ha trasformato il modo di comunicare di diversi calciatori di primo piano nei principali campionati europei.

Giornalista di lungo corso, con esperienze tra Brasile, Francia, Portogallo e Italia, è nel lavoro quotidiano con i giocatori che Garcia ha trovato la sua vera dimensione professionale. «Mi piace. È vero: vado ancora in TV, faccio cose pubbliche, ma il lavoro vero è dietro le quinte, a livello strategico», racconta a Calcio e Finanza.


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Con la sua agenzia Savoir Sport, Garcia cura immagine e comunicazione di calciatori del calibro di Danilo (Flamengo e nazionale brasiliana) e Bremer (Juventus e nazionale brasiliana), Albert Gudmundsson (l’anno scorso alla Fiorentina ma di proprietà del Genoa, oltre che nazionale islandese), Diogo Dalot (Manchester United e nazionale portoghese), Sam Beukema (Bologna), Rui Silva (Sporting), Marash Kumbulla (Roma e nazionale albanese), Rogerio (Wolfsburg) e Diogo Leite (Union Berlino). La lista si allunga di stagione in stagione, così come l’ambizione dei progetti. Non solo gestione dei media, ma anche produzione di contenuti originali, creazione di partnership commerciali e sviluppo di format per broadcaster e aziende.

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«L’obiettivo principale di Savoir Sport è la valorizzazione del cliente. Lavoriamo quotidianamente per accrescere il valore mediatico dei nostri atleti e proteggere la loro immagine», spiega Garcia. L’agenzia, con un team strutturato tra ufficio stampa e Digital Content Creator, offre un servizio completo che spazia dai contatti con i media alla realizzazione di video e shooting fotografici, fino alla cura dei canali social.

Non si tratta però di semplice autopromozione: il progetto di Garcia ha una visione più ampia. «Per me il calciatore oggi deve avere accanto una vera squadra di comunicazione, come ha l’agente, l’avvocato, il commercialista, il parrucchiere… In Brasile lo capiscono benissimo: lì tutti hanno un ufficio stampa. In Italia no, c’è ancora l’idea: “Lavoro con mio fratello, con l’amico dell’agente” ed è un errore».

Il calciatore come brand: la mancanza di strategia in Italia

La consapevolezza che l’atleta moderno sia anche un brand emerge con forza nelle parole della giornalista portoghese di origini brasiliane: «Oggi i giocatori hanno i social, sono brand, aziende vere e proprie. Vedo ancora molto margine di crescita in questo campo». Un terreno ancora da esplorare per molti protagonisti della Serie A, dove – sottolinea Garcia – manca spesso una strategia di lungo termine per costruire una reputazione internazionale. «Guarda certi calciatori italiani: diversi sono bravi in campo ma hanno zero visibilità all’estero e nessuno ha costruito un brand nonostante giochino in club importanti e in città tra le più belle al mondo».

La storia personale di Garcia spiega questa visione d’insieme. Figlia di Luciano, ex calciatore brasiliano («Lui ha giocato fino a 42 anni, proprio come Cristiano Ronaldo!»), è cresciuta con lo sport nel sangue. Il giornalismo è arrivato presto, prima in Brasile, poi in Portogallo, dove ha raccontato anche pagine di cronaca nera come il caso Casa Pia, ma anche in Francia. In Italia si è affermata come reporter sportiva per Globo Esporte, girando il mondo tra Champions League, Europei e Olimpiadi.

«Ho fatto otto finali di Champions League di fila, l’ultima nel 2018 con la vittoria del Real Madrid di Cristiano Ronaldo. Bellissimo, certo. Ma con i figli piccoli non mi piaceva più viaggiare così tanto. Volevo qualcosa di più strategico», confessa oggi. La svolta è stata naturale: mettere al servizio dei calciatori quell’esperienza e quella rete di contatti costruite in anni di giornalismo internazionale.

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Un lavoro tutt’altro che semplice. «A volte è un po’ difficile per il giocatore entrare nel nostro mondo», racconta Garcia. «Il loro è un universo particolare, vivono quasi in una bolla: c’è sempre qualcuno che gli organizza i viaggi, gli orari, gli allenamenti… Devono imparare anche a prendersi responsabilità, a capire cosa fare, dove andare, come organizzarsi». E non è raro doverli convincere a fare un passo in più fuori dal campo: «Se vuoi costruirti un’immagine solida, non basta postare su Instagram una foto ogni tanto. Devi andarci di persona agli eventi, devi farti vedere, parlare, partecipare».

Ma c’è anche chi questo percorso l’ha già compreso, come Danilo, che sostiene in Brasile un progetto per oltre cento bambini dal nome Futuro Re2ondo, oltre al progetto Voz Futura, quest’ultimo un veicolo di comunicazione che realizza documentari e podcast con l’obiettivo di raccontare storie che meritano di essere ascoltate. «Questa è stata una scelta precisa di Danilo: lavoriamo molto sulla sua immagine anche in questa direzione». O come Diogo Dalot, che a 26 anni già investe fuori dal campo.

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Il caso di Bremer, difensore della Juventus, è esemplare della complessità di questa attività. «Lui aveva appena rinnovato il contratto… poi l’infortunio. È stato difficile, prima di tutto per lui, ma anche per la famiglia. Psicologicamente è tosta», racconta Garcia. Per riempire il lungo stop forzato, l’agenzia ha costruito attività extra-campo su misura: eventi di moda, campagne solidali, partecipazioni a sfilate e iniziative benefiche. «A gennaio è stato ospite speciale alla sfilata di Philipp Plein a Milano: non era lì per caso, è stato il volto centrale dell’evento. È stato molto bello, perché l’ha fatto sentire di nuovo importante, protagonista anche fuori dal campo. Così come l’invito all’ATP di Montecarlo, dove stato l’ambassador per una giornata e ha trascorso del tempo insieme al tennista italiano Lorenzo Musetti, che è anche tifoso juventino».

In questo modo, Garcia e il suo team cercano di trasformare anche le difficoltà in opportunità di crescita personale e professionale per i loro assistiti. «Non tutti sono disposti a fare questi sforzi, a rinunciare a qualche settimana di vacanza per costruire la propria immagine internazionale. Ma è necessario, se vuoi restare rilevante anche dopo il ritiro».

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Motivo per cui anche per il futuro ci sono tanti progetti: «Le idee sono tantissime. Non ci sono tante agenzie che fanno tutto come noi, a 360 gradi. Ma vorremmo spingere ancora di più, mi piacerebbe che anche i nostri ragazzi capissero che questo è un investimento: servono tempo ed energia per costruirsi un’immagine, non è solo il campo», spiega ancora. Anche se c’è un tema tutto italiano. «Vorrei avere un po’ più di libertà, ma in Italia è difficile: i tifosi vogliono che il calciatore sia tutto campo e basta, mentre se fa altro significa che non è concentrato. Ma serve avere il coraggio di non avere paura di essere criticati». In un rapporto che non è sempre facile nemmeno coi club. «Sicuramente è qualcosa di delicato, ma noi lavoriamo sempre in totale trasparenza, non nascondiamo nulla e avvisiamo sempre le società».

L’obiettivo, in fondo, è chiaro: far diventare i calciatori sempre più dei brand. «In Formula 1 ci sono brand come Lewis Hamilton, che è più forte anche di alcune scuderie che poi lavorano per creare anche brand, non solo piloti. Nel calcio invece quanti sono i giocatori che sono davvero dei brand? Pochissimi e sono campionissimi come Cristiano Ronaldo e Messi. Perché la maggior parte non investe su questo, non ci lavora abbastanza fuori dal campo». Il futuro della comunicazione sportiva passa da qui.

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