Cristiano Doni: «Calcioscommesse, che trauma, ma i tifosi dell’Atalanta mi vogliono bene. Potevo andare alla Juve e alla Roma. Il giocatore più forte era…» | OneFootball

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·3 settembre 2025

Cristiano Doni: «Calcioscommesse, che trauma, ma i tifosi dell’Atalanta mi vogliono bene. Potevo andare alla Juve e alla Roma. Il giocatore più forte era…»

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Cristiano Doni: «Calcioscommesse, che trauma, ma i tifosi dell’Atalanta mi vogliono bene». Le dichiarazioni dell’ex attaccante della Dea

Un condottiero in campo, un uomo che ha trovato la pace fuori. Cristiano Doni non è stato solo un calciatore, ma un numero 10 anomalo, un leader tecnico ed emotivo che ha incarnato l’anima dell’Atalanta, diventandone il miglior marcatore di sempre. La sua carriera, però, è stata spezzata da una delle pagine più buie del calcio italiano, lo scandalo del calcioscommesse del 2011, un’accusa che lo ha travolto, trasformandolo in un “capro espiatorio” e costringendolo a una fine ingiusta. Ma Doni, come in campo, non si è arreso. Ha affrontato la “macchina del fango”, ha trovato la forza di rialzarsi e, a distanza di anni, ha costruito una nuova vita da imprenditore, trovando nel tennis, nel padel e nell’affetto della sua gente la serenità che il calcio gli aveva tolto. Oggi, a 52 anni, a La Gazzetta dello Sport l’ex capitano della Dea si racconta, un viaggio a cuore aperto tra i ricordi di un’epoca d’oro, le ferite mai del tutto rimarginate e la consapevolezza di essere diventato un “uomo migliore”.

L’IMMAGINE PIU’ CARA – «La mano sotto il mento, la maglia dell’Atalanta addosso. Con quella mi sentivo Superman, è la numero 27, scelta in omaggio a Gilles Villeneuve, l’idolo di quando da ragazzino seguivo la Ferrari con mio papà. Ho appena segnato, sono felice con la mia gente».


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IL CRISTIANO BAMBINO – «Ero gracile. A sedici anni d’un colpo sono cresciuto 18 centimetri. Simpatizzavo per la Roma, sono nato lì. Mi piaceva Pruzzo perché era di Crocefieschi, il paese di mia mamma, ammiravo Van Basten. Sono cresciuto a Verona, mi chiamavano “Cricchio”. Ero bravino a basket, innamorato del tennis. Il tennis mi ha aiutato dopo il periodo buio, sono un categoria 3.1. Ho una venerazione per Federer. Hai presente la perfezione? Lui».

LA SVOLTA DELLA SUA CARRIERA – «L’incontro con Sergio Buso, una persona speciale (si commuove, ndr). Allenava le giovanili del Modena, vide in me qualità che non sapevo di avere. Non ero un predestinato. Ero stato bocciato dalla Primavera del Verona e del Bologna, Buso mi spalancò un orizzonte».

CHE GIOCATORE ERA – «Un 10 poco ortodosso, ora trequartista, ora centravanti di movimento, ora mezzala sinistra. Correvomolto, ero resistente. A Pistoia mi chiamavano Principe, a Bologna Ulivieri mi soprannominò Anatrone. E poi avevo il fiuto del gol, ero un attaccante a fari spenti: quel ruolo me lo diede Vavassori all’Atalanta, gli devo molto».

LE È MANCATA LA GRANDE SQUADRA – «No, nessun rimpianto. Potevo andare alla Juventus, ma l’Atalanta chiese troppo e in fondo ne fui felice, volevo restare a Bergamo. Poi la Roma: Spalletti mi voleva come vice-Totti, mi chiamava Pradè e mi faceva ascoltare il jingle della Champions: ti piace? Avevo già 34 anni, risposi grazie, ma no, io rimango all’Atalanta».

IL COMPAGNO DI SQUADRA PIÙ FORTE – «Non ho dubbi: Morfeo. Un fenomeno, che con i piedi parlava una lingua bellissima».

IL CALCIOSCOMMESSE – «Mi hanno messo un’etichetta, ma non era la mia. I carabinieri all’alba a casa, i cinque giorni in prigione, le prime pagine dei giornali. È crollato tutto, sono diventato il capro espiatorio, oggi so cosa significa finire nella macchina del fango. Ne sono uscito traumatizzato, ma ciò che non uccide fortifica. Per la maglia dell’Atalanta ho sputato sangue, eppure tutto mi si ritorceva contro. Oggi a Bergamo la gente mi vuole bene, questo è quello che resta. Sono stato condannato per due partite: sì, sapevo che quelli del Piacenza vendevano le partite, l’ho accettato, tutto lì, sono stato uno stupido».

COSA HA IMPARATO – «Sono diventato un uomo migliore. Ho mangiato tanta merda, il rischio alla fine è quello di farsela piacere, ma io mi sono tirato su le maniche e oggi sono un imprenditore. Ho un ristorante e altri locali a Maiorca, a Bergamo ho aperto un centro sportivo, il “27 padel”. Tifo Atalanta, ma con la giusta distanza. Ho una figlia di 22 anni e un figlio di 12 che gioca a pallone, il suo idolo è il Papu Gomez. È nato quando non vedevo la luce, mi ha salvato».

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