Cosa significava la bandiera del drone di Dudelange-Qarabag? 🇦🇲 | OneFootball

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Redazione·4 ottobre 2019

Cosa significava la bandiera del drone di Dudelange-Qarabag? 🇦🇲

Immagine dell'articolo:Cosa significava la bandiera del drone di Dudelange-Qarabag? 🇦🇲

Una partita interrotta, un drone nel cielo, una bandiera che sventola nell’aria, undici giocatori infuriati. Non una scena nuovissima, se vi ricordate quanto avvenuto in Serbia-Albania di qualche anno fa.

Stavolta l’episodio si è ripetuto in una gara di Europa League, Dudelange-Qarabag, portando a un’interruzione del gioco. Ma che cosa significava quella bandiera?


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La repubblica dell’Artsakh (o repubblica del Nagorno-Karabakh) è un territorio che ufficialmente fa parte dell’Azerbaigian, ma è di fatto indipendente e occupato militarmente da truppe filo-armene dall’inizio degli anni ‘90. E il vessillo che sventolava era proprio quello di questo stato autoproclamato.

Una bandiera che ha fatto infuriare gli azeri del Qarabag: la squadra infatti proviene da Agdam, una città che si trova in quel territorio e che è stata rasa al suolo dalle truppe armene nel 1993. Costringendo peraltro la squadra a giocare nella capitale azera Baku.

Il Qarabag giocò la sua ultima partita ad Agdam nel maggio del 1993 e la città cadde il 23 luglio, una settimana prima che la squadra vincesse il suo primo scudetto. Da allora il Qarabag è diventato una bandiera per gli esuli azeri del conflitto e un simbolo d’orgoglio nazionale per l’Azerbaigian.

Il capitano dell’attuale squadra, Rashad Sadygov, è a sua volta un esule del conflitto, come anche un altro giocatore, Qara Qarayev. Comprensibile quindi come quella bandiera abbia scaldato gli animi.

Non è la prima volta in cui la bandiera dell’Artsakh interrompe una partita del Qarabag: lo scorso anno un tifoso fece invasione di campo con lo stesso vessillo durante la partita giocata dagli azeri contro l’Arsenal.

Proprio per via delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian Henrikh Mkhitaryan, armeno e allora in forza ai Gunners, scelse di non disputare la gara d’andata a Baku.

Articolo di Damiano Benzoni