Cosa significa davvero essere donne e atlete nel mondo del calcio | OneFootball

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Calcio In Pillole

·23 novembre 2020

Cosa significa davvero essere donne e atlete nel mondo del calcio

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Ormai si sente sempre di più parlare di calcio femminile, è vero. La vera domanda però è in che modo se ne parla? Quanto se ne parla? E soprattutto se sia corretto il modo in cui viene trattato questo tema.

La risposta più corretta, in realtà, è no. Non è giusto il modo in cui viene trattato il calcio femminile. E non per livello di importanza, non c’entra niente, è un discorso che va oltre. C’è proprio un errore di fondo sulla comunicazione e sul trattamento delle atlete che lo praticano.


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In una lunga e bellissima lettera scritta a ‘Minuto Settantotto’ dal responsabile di Marketing e Comunicazione della Florentia San Gimignano, Lorenzo Giudici, viene chiaramente evidenziato il modo in cui, ancora oggi nel mondo del calcio, le donne non vengano trattate come atlete, al pari dei loro colleghi uomini. Giudici, inoltre, evidenzia come i media che parlano di questo non aiutino per niente a liberare dalla grande piaga del sessismo presente nello sport.

La mancanza di sostegno da parte delle maggiori redazioni

“Nonostante il buon lavoro di promozione attivato dalla FIGC negli ultimi anni, nei maggiori media troviamo pochissime tracce dei campionati femminili. Le due dirette a settimana di Sky e la possibilità di vedere tutte le gare sulla piattaforma TIM VISION hanno radicalmente migliorato la situazione, ma questa produzione non è adeguatamente sostenuta dal resto delle maggiori redazioni televisive, radio, della carta stampata.

E questo è un enorme problema, perché sono proprio i contenuti prodotti dai grandi centri mediatici a girare viralmente sui social network, a generare una lunga serie di contenuti collegati e quindi a diffondere capillarmente un argomento.

Mancando serie e puntuali cronache nei maggiori media, i contributi sul calcio femminile sono quindi affidati a piccoli siti internet o pagine sui social che spesso fanno un lavoro meritorio, ma volontario e quindi con oggettivi limiti, e a volte invece offrono delle proposte davvero discutibili, fortemente condizionate dalle agenzie di procuratori che si muovono attorno alle ragazze, dal tifo, da amicizie personali, da forte incompetenza.”

Scrive Giudici nella lettera e questo punto fondamentale è, purtroppo, una forte e triste realtà.

Nei sette giorni che compongono la settimana ci sono almeno dai quattro ai cinque programmi di approfondimento calcistico, più canali televisivi dedicati interamente a questo sport, ventiquattro ore al giorno, per non parlare poi dei diversi telegiornali sportivi.

In quanti di questi programmi si parla di calcio femminile?

Non perdete tempo ad andare a cercare la risposta, è molto semplice: in nessuno. Nessuno dedica anche solo una rubrica alla Serie A femminile o alle imprese compiute.

Certo, un gol di Cristiana Girelli non fa parlare sicuramente come uno fatto da Cristiano Ronaldo. E la doppietta di Zlatan Ibrahimovic non è di certo uguale a quella di Valentina Giacinti. Ma non parlarne nemmeno, come se non valessero nulla, come se non avessero importanza, è davvero disgustoso.

E’ un termine forte, certo, ma è la verità.

Ci si insegue per trovare sempre la notizia sul calcio maschile, per riempire pagine di giornali e servizi tv, addirittura, a volte, parlando delle compagne dei calciatori piuttosto che delle atlete.

L’analisi della vita privata di Wanda Nara e Mauro Icardi in un programma sportivo è più importante dell’analisi tattica di una partita scudetto nella Serie A femminile.

Girarci intorno è inutile. Purtroppo è così.

E il messaggio che passa è che ridurre una donna a ‘compagna di un tale calciatore’ sia più importante di una donna che fa del calcio il suo lavoro.

“Se non riusciamo a raccontare le donne come atlete, è come se non si riuscisse ad ammettere che le loro gesta siano degne di attenzione. Cioè, è come non assegnare piena dignità allo sport femminile.” Scrive ancora Giudici.

La sessualizzazione del corpo femminile nel calcio femminile

“La rivoluzione del linguaggio sportivo che possiamo riassumere con “bomberismo” e “ignoranza”. Ho trovato la vostra analisi ineccepibile: uno dei principali problemi di questa “retorica” è come mette a tema il ruolo della donna, nello sport e nella società intera.

Io trovo che ci siano delle profonde affinità tra il “bomberismo” e una delle scelte maggiormente in voga nei media nel trattare il calcio femminile. Si prediligono “le fiche”, si scelgono le foto dove “le fiche” giocano rivelando sensualità, malizia, corpi sessualmente esplosivi, che sono naturalmente cose belle, ma che non sono in prima istanza ciò che un’atleta vuole e deve esprimere su un campo da calcio, mentre svolge il suo lavoro.

Questo modo di raccontare lo sport lo rende molto simile alla diet-culture: un insieme di stereotipi che sottopongono i corpi ad auto-imposizioni, che rischiano di far sentire costantemente inadeguate/i, che trasformano atlete e atleti in ennesimi imprenditori di se stessi, affascinanti, attivi, sorridenti anche quando giochiamo a calcio.”

Sempre nella lettera, viene fatto un confronto fra due foto.

In entrambi gli scatti ci sono atlete che praticano calcio femminile e Giudici vuole sottolineare come vengano sempre utilizzati scatti che mettano in mostra parti del corpo femminile in grado di  attirare l’attenzione. Vengono scelte foto dove si da importanza al fondoschiena dell’atleta e non importa se nella foto successiva viene messo in mostra un gran gesto tecnico.

Pagine Instagram e Twitter con milioni e milioni di followers che postano foto di atlete militanti nel calcio femminile col solo fine di sessualizzarle. Inviti a fare zoom su fondoschiena o sui pantaloncini che si sono alzati per un’azione.

Se Cristiano Ronaldo salta in alto due metri si fa l’analisi del gesto tecnico mettendo foto dove lo si riesce a mettere in mostra. Se lo fa Pernille Harder si cerca una foto dove si possa mettere in mostra il suo fisico piuttosto che la tecnica.

E questa non è stupida retorica o becero vittimismo. E’ la realtà. Una triste realtà.

E con questo ci si può ricollegare ai media che non supportano le atlete.

Pernille Harder ha vinto il UEFA Women’s Player of the Year Award quest’anno. Quello maschile lo ha vinto Robert Lewandowski. I siti di informazione e i giornali hanno riportato a gran voce del polacco ma per la danese giusto un trafiletto o piccoli articoli.

Su tutti i notiziari, nelle radio e nei quotidiani, da giorni rimbalza la notizia di Haaland Golden Boy 2020. Nessuno però parla dell’italiana Asia Bragonzi che ha vinto il Golden Girl 2020.

La realtà è questa, negarla è inutile, girarci intorno pure. E questa non vuole essere una lezione di retorica, tutt’altro. E’ un trampolino di lancio per sbattere in faccia una realtà cruda, vera, che tante volte si finge di non vedere.

La lettera di Lorenzo Giudici o quest’articolo, sono solo l’inizio di qualcosa che, col tempo, dovrà essere molto più grande. Un processo per arrivare allo sviluppo definitivo del calcio femminile.

Donne che devono essere considerate atlete.

Non corpi da mercificare o sessualizzare. Non stereotipi contro cui puntare il dito.

Solo atlete, che come chiunque altro hanno lottato una vita per fare della loro passione un sogno. Atlete che vivono libere facendo ciò che amano.

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