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·18 novembre 2019
Cinque grandi giocatori mai convocati in Nazionale

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·18 novembre 2019
Questa sera a Palermo contro l’Armenia l’Italia giocherà la sua ultima partita in un girone di qualificazione che l’ha vista essere dominatrice incontrastata. Solo vittorie per la squadra di Mancini che vuole ottenere il decimo successo in altrettante partite, un record per la Nazionale. Gollini ha debuttato contro la Bosnia riuscendo già a superare grandi giocatori che però per qualche strana ragione non sono mai riusciti a giocare con l’Italia ed eccone per voi cinque grandi con i club, ma senza nessuna presenza Azzurra.
EVARISTO BECCALOSSI Quando genio e sregolatezza si incrociavano non si poteva non pensare a Evaristo Beccalossi. Uomo di fantasia dell’Inter campione d’Italia di Eugenio Bersellini, ha pagato un rapporto mai nato con il commissario tecnico Enzo Bearzot. Cresciuto a Brescia iniziò con la squadra della sua città prima di essere portato in nerazzurro nel 1978. Dopo un primo anno di ambientamento la Beneamata volò nella stagione successiva vincendo il suo dodicesimo Scudetto. Per il “Becca” fu da incorniciare il derby d’andata quando Milano venne colpita da un vero e proprio nubifragio. Il campo era quindi adatto per lottatori e gente pronta alla battaglia, non certo a giocolieri. Beccalossi invece deliziò la platea con due reti entrambe con il destro, non certo il suo piede migliore, e quella vittoria sul Milan campione d’Italia fece capire la garnde forza interista. Lasciò il capoluogo lombardo nel 1984 per provare l’esperienza alla Sampdoria, ma fu un fiasco e iniziò a girovagare per la provincia fino a quando non si ritirò nel 1991 a Breno, in Val Camonica.
AGOSTINO DI BARTOLOMEI Uno dei giocatori più amati di sempre con la maglia della Roma, Capitano dei giallorossi più amati di sempre e per poco non divenne anche campione d’Europa. Agostino Di Bartolomei è stato uno giocatore completo, in grado di impostare l’azione da centrocampo, ma anche di governare la difesa da grande libero. Bearzot forse non lo convocò mai perché lo vedeva solo come numero sei e in quegli anni c’erano già Gaetano Scirea e un giovane Franco Baresi, ma nella linea mediana Azzurra forse avrebbe fatto bene la grande classe di Agostino. Una vita in giallorosso dunque la sua, iniziata nel 1972 e conclusa nel 1984 dopo la maledetta finale contro il Liverpool. Verrà per sempre ricordato per il suo carisma e la sua grande capacità di raccogliere a sé i compagni di squadra senza bisogno di urla e strepiti. Nel 1984 passò al Milan seguendo il suo tecnico Nils Liedholm e in tre anni dimostrò che con Baresi poteva giocare eccome. Si ritirò nel 1990, ma quattro anni dopo decise di suicidarsi lasciando un biglietto:”Mi sento chiuso in un buco“. Il calcio gli ha dato tanto, ma probabilmente gli ha tolto la vita.
CLAUDIO GARELLA Uno dei portieri più spettacolari e particolari che si ricordi nel mondo del calcio. La quantità di parate con i piedi è incredibile, ma Claudio Garella le mani le sapeva usare eccome. Nato a Torino iniziò proprio con i granata prima di fare esperienza in provincia a Casale e Novara. Alla Lazio iniziò a farsi notare ma fu alla Samdporia che divenne titolare per tre stagioni dimostrandosi un portiere fuori dal comune, anche se poco affidabile sul lungo periodo. Nel 1981 Osvaldo Bagnoli lo volle con sé a Verona e iniziò una delle storie più belle del calcio italiano. I gialloblu stavano costruendo una grande squadra, forse nessuno pensava alla vittoria dello Scudetto, ma nel 1985 il Veneto per la prima volta era diventato Campione d’Italia. Garellik visse una stagione pazzesca con una sfida all’Olimpico contro la Roma che turba ancora oggi i sogni dei tifosi giallorossi allora presenti allo stadio. Da campione d’Italia passò al Napoli di Maradona e con il Pibe de Oro vinse nel 1987 un altro storico Scudetto, il primo di sempre nella storia Azzurra. In un momento di passaggio tra due miti come Zoff e Zenga l’Italia ebbe un momento di transizione in porta e a Messico 1986 Bearzot decise di giocare con Giovanni Galli come primo e Franco Tancredi come secondo. Due ottimi numeri uno, ma non certo distanti anni luce da Garella che avrebbe senza dubbio meritato almeno un’occasione. Dopo Napoli passò all’Udinese e chiuse nel 1991 ad Avellino.
DARIO HÜBNER Un’autentica leggenda del calcio di provincia, giocatore poco bello da vedere ma con un senso del gol davvero poco comune. Dario Hübner ha un record particolare, che condivide con Igor Protti, ovvero essere riuscito a vincere la classifica dei marcatori di Serie C, B e A. In terza serie il titolo arrivò nel 1992 quando vestiva la maglia del Fano e l’anno seguente il Cesena decise di fargli fare il salto di categoria. In Romagna giocò per cinque stagione, senza mai riuscire a portare i bianconeri in Serie A ma andando sempre in doppia cifra e nel 1996, con ventidue centri, divenne il miglior marcatore del campionato cadetto. Nel 1997 però in Serie A ci arrivò lo stesso e fu il Brescia a chiamarlo e furono i quattro anni migliori della sua vita. Debuttò a San Siro contro l’Inter e realizzò il gol del momentaneo vantaggio biancoblu il giorno dell’esordio di Ronaldo. I sedici gol finali non bastarono per salvarsi e in due anni in B con le Rondinelle segnò ben quarantadue reti, ventuno ogni anno, e la Serie A 2000-01 fu ben più dolce. Ai servizi di Roby Baggio e con la regia di Andrea Pirlo il Brescia ottenne uno storico settimo posto e Hübner segnò per ben diciassette volte. Già in molti lo avrebbero voluto in Naizonale, ma ciò che stava per accadere nella stagione 2001-02 era a dir poco incredibile. Passò al Piacenza e non solo riuscì a salvare la squadra ma anche a vincere il titolo di capocannoniere con ventiquattro gol al pari di un mostro sacro come Trezeguet, ma questo non bastò a convincere Trapattoni e il Bisonte non riuscì mai a vestirsi di Azzurro. Ancora quattordici gol l’anno seguente, ma gli emiliani retrocedettero e da lì anche la storia di Hübner finì. Tornò nella provincia che più ha amato, quella Brescia dove continuerà a viverci e giocare ancora per molto tempo fino all’età di quarantaquattro anni.
PIETRO PAOLO VIRDIS Attaccante mobile, capace di segnare e di mettersi al servizio della squadra Pietro Paolo Virdis è stato spesso decisivo nelle vittorie delle sue squadre. Sardo di Sassari iniziò però nella Nuorese prima di passare a Cagliari facendosi notare a tale punto che Boniperti lo volle alla Juventus nel 1977. Cinque anni a Torino, intervallati da un anno in prestito in Sardegna, dove vinse due Scudetti ma con la consapevolezza di avere sì un attaccante generoso e dalle grandi qualità ma che non riuscì mai a segnare quanto avrebbe dovuto. Venne mandato all’Udinese dove si esaltò con Zico accanto a lui e nel 1984 venne venduto al Milan che vedeva in lui l’uomo della rinascita. E in rossonero visse una seconda giovinezza aiutando la squadra a risalire le posizioni in classifica e restando titolare nella stagione 1987-88 nonostante il Diavolo avesse acquistato Marco Van Basten. Una sua doppietta al San Paolo stese il Napoli Campione d’Italia in carica e fece in modo che il tricolore tornasse sulla maglie rossonere. Il fenomeno olandese però nella stagione seguente sarebbe rientrato a pieno servizio e lo spazio per Virdis diminuì, tanto che nel 1989 passò a Lecce per disputare le sue due ultime annate. Resterà per sempre l’amaro in bocca per non essere mai riuscito a giocare in Azzurro.