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·7 novembre 2024
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L’ex difensore nerazzurro e giallorosso ed ex allenatore dell’Inter Primavera Cristian Chivu si è raccontato in un’intervista da Cronache di Spogliatoio, parlando di alcuni suoi momenti difficili ai tempi della Roma. Non mancano poi gli aneddoti su Mourinho e sulla sua esperienza da tecnico della Primavera nerazzurra. Le parole:
IL MIO RAPPORTO CON LA SALUTE MENTALE – «All’epoca ho creato una corazza, ero io contro di me contro il mondo. La sfida è sempre stata quella di cercare soluzioni nonostante le difficoltà senza mai chiedere aiuto. Poi how voto bisogno di aiuto perché da solo non riuscivo a uscire da quella situazione, a quel punto ho chiesto aiuto a uno psicologo. C’era stata una situazione a Roma che mi ha fatto barcollare, un po’ per l’ingiustizia che io sapevo che mi era stata fatta».
COSA SUCCESSE? – «Nasce tutto dopo un’intervista fatta dopo che Capello era andato alla Juve. Mi chiedono se mi sarebbe piaciuto lavorare nel futuro con lui che mi aveva portato in Italia, io dissi che era un grande allenatore e che mi avrebbe fatto piacere. Il titolo il giorno dopo fu ‘Chivu vuole la Juve’. Andavo in campo ed ero fischiato da 80mila persone. A quel punto ho chiesto aiuto. Poi l’ha raccontato anche Spalletti, mi lussai un alluce a Genova contro la Samp, ero fermo con le stampelle. Si giocava l’ultima prima della sosta natalizia contro il Chievo. Spalletti mi chiese se potevo giocare perché non aveva più difensori, gli dissi che per lui l’avrei fatto ma che avevo bisogno di infiltrazioni. E lì venni fischiato, ho pianto per l’ingiustizia. Poi in quel periodo facemmo undici vittorie di fila culminate col derby, a quel punto poi hanno dimenticato tutto. Ma io in quel periodo andavo dallo psicologo, a fine partita vomitavo per lo stress e per l’ansia, non riuscivo a uscirne e ho chiesto aiuto».
L’INTER DA ALLENATORE E MOURINHO – «Ho vinto un campionato Primavera con l’Inter e ho fatto tutta la trafila, dall’Under 14 in poi. Prima di tutto, volevo capire se questo mestiere mi piacesse davvero. La risposta è sì, assolutamente. È un lavoro che richiede una passione immensa. Mourinho? Da lui ho imparato che coerenza e credibilità sono fondamentali per essere un buon allenatore. Un episodio che non dimenticherò mai è quello dopo la finale di Coppa Italia del 2010: mi chiamò nel suo ufficio per avvisarmi che non avrei giocato l’ultima partita di campionato contro il Siena, perché voleva che fossi pronto, mentalmente e fisicamente, per la finale di Champions contro il Bayern, in cui avrei dovuto affrontare un avversario come Robben. È stato importante per me, perché mantenne la sua parola. Quando un allenatore perde la credibilità, iniziano i problemi, soprattutto in squadre con giocatori dalla forte personalità»
UN MOMENTI DIFFICILE – «Una volta, a Bergamo, stavamo perdendo 2-0 e Mourinho mi sostituì al 25′. Quella partita giocavo come ala sinistra, un ruolo che non ricoprivo da quando avevo 14 anni. Finimmo per perdere 3-1, e dopo la gara ci fu una riunione in cui criticò ciascuno di noi individualmente. Mi disse che persino sua nonna avrebbe giocato meglio di me. Io ero perplesso, perché, pur giocando fuori ruolo, avevo dato tutto per la squadra. Eppure, dopo la riunione, mi informò che la partita successiva sarei stato schierato come difensore centrale, il mio ruolo naturale. Rimasi sorpreso, ma capii il suo valore aggiunto: aveva la sensibilità di fare sempre ciò che era meglio per il gruppo, anche se le sue scelte potevano sembrare dure o incomprensibili».