Calcio Femminile Italiano
·25 giugno 2025
Barbara Bonansea: “Ricordo ciò che veniva detto sugli spalti e…”

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·25 giugno 2025
Passione, sacrificio, dedizione: questo e tanto altro nel racconto esclusivo fornito a “Inside – Dentro il Talento” da Barbara Bonansea. Durante l’intervista Rai l’attaccante della Juventus Women ha ripercorso le emozionanti tappe della propria carriera, dai primi passi in squadre prettamente maschili o miste, fino alle chiamate in serie A ed in Nazionale maggiore. Una cruda verità quella evidenziata dalla classe ’91 che dimostra il coraggio e la fatica necessari a farsi spazio all’interno di un movimento tutt’ora in espansione.
“Sono cresciuta in un piccolissimo paese in provincia di Torino, Bricherasio. Ero una bambina molto timida e leggermente scontrosa; facevo fatica ad essere libera per via della mia passione per il calcio poiché sentivo che era una sport che volevo seguire solo io. Col tempo poi ho capito che la mia era una sorta di protezione. Lo sport? Per me è stato una lezione, una scuola di vita”.
La calciatrice ha proseguito con un racconto intimo su condivisione e sostegno in famiglia per quello che era evidentemente un sogno coltivato e voluto, con un iter non così facile da seguire anche per via dei pregiudizi basati sui soliti stereotipi: “C’è stato un giorno in cui l’allenatore di mio fratello (anche lui appassionato), vedendomi, mi chiese di prendere parte ai loro giochi ed allenamenti; è stato alquanto strano perché continuavo a tirarmi indietro mentre mio padre cercava di spingermi ad entrare in campo. “Alla fine è lo stesso gioco”, disse lui. Da lì mi sono tranquillizzata. Parole che ancora oggi risuonano nella mia mente.
Il primo step per entrare nella vita da calciatrice è stato proprio quello, un momento di terrore superato e poi un amore a prima vista. Come unica bambina in una squadra del tutto maschile sicuramente ci sono stati dei momenti in cui mi sentivo giudicata, non dai compagni ma dai genitori, e questo ancora oggi mi fa riflettere perché sono coloro che dovrebbero insegnare ad accettare le diversità. Ricordo ciò che veniva detto sugli spalti. A quell’età lì, inoltre, le partite di calcio femminile non venivano trasmesse ed io non lo conoscevo perché non ne parlava nessuno; non avevo, infatti, nessun modello di calciatrice da seguire ma mi ispiravo a Zlatan Ibrahimovic e Pippo Inzaghi. Ora la situazione è diversa. Le bambine possono guardare le partite in TV, trovare ispirazione e vedere ciò che potrebbero diventare. Ho vissuto un grande cambiamento per quel che riguarda il movimento femminile e questo mi riempie il cuore di gioia”.
All’età di 12 anni il percorso di Bonansea comincia a prendere piede: “Nel mio paese non c’era uno spogliatoio dedicato alle bambine, i centri sportivi non erano pensati per accoglierle. È arrivato, però, l’interesse da parte del Torino Calcio Femminile; lì ho scoperto un mondo opposto rispetto a quello che avevo vissuto prima. A 14 anni, poi, devi scegliere – ha riferito -. Tante volte si trova un’opportunità lontana da casa e c’è la necessità di spostarsi, per questo motivo molte tendono ad abbandonare. Ricordo ancora i 140km giornalieri che mio papà faceva per portarmi a Venaria; sono qua che lo racconto perché ho avuto la possibilità di essere accompagnata.
Dal secondo anno al Torino ho iniziato a giocare nella Primavera. Sono molto fiera dei due scudetti conquistati, primi segnali che mi hanno dato la voglia di combattere sempre di più. Ho esordito poi in Prima squadra e giocato la Coppa Italia, proseguendo in serie A. Ricordo con molto piacere gli anni nella categoria Primavera perché sono stati momenti di crescita personale in cui dovevo ancora scoprire me stessa e conciliare studio e sport. Non sentivo fatica per via della mia passione. L’ulteriore parentesi quadriennale a Torino in serie A mi ha insegnato tanto e regalato tante amicizie che ancora oggi porto avanti”.
Prima convocazione in Nazionale? “Ero incredula – ha ammesso -. Un trionfo personale reso ancora più bello dalla presenza delle mie compagne che hanno condiviso questa gioia!”.
A 20 anni, intanto, un viaggio parallelo…ecco perché: “Avevo scelto di intraprendere il percorso di laurea in ingegneria per poter avere una certezza nella vita; il calcio femminile, in quel momento, non era considerato lavoro. Non vedevo un futuro roseo. Come calciatrice sentivo di non avere tutele e capacità di gestione della vita. Successivamente ho cambiato e scelto Economia, mentre venivo chiamata dal Brescia.
Come dimenticare, poi, l’estate del 2017. Mentre ero impegnata nella preparazione dell’europeo in Olanda, la chiamata di Rita Guarino, a quel tempo allenatrice della Juventus Women. Rimasi scioccata. Sono stati anni di cambiamento fondamentali per il femminile. Ero dilettante. Un lavoro vero e proprio solo dal 1 luglio 2022 con l’introduzione del professionismo. Questa società ha tutto per farci sentire professioniste, abbiamo una tutela sanitaria e pensionistica e i contributi ci vengono pagati, ma pensiamo ad altre realtà femminili che non hanno questa fortuna.”
Un amore oltre il rettangolo verde; l’attuale numero 11 azzurra ha riferito di un Camp di sole bambine messo in piedi nel 2024, progetto portato avanti proprio dove quest’ultima ha iniziato: “C’è stato un bell’afflusso. Ho rivissuto un po’ la mia vita. Il mio obiettivo? Quello di dare a tutte loro la possibilità di allenarsi vivendo il campo con sole ragazze e poter far crescere le tesserate. Ancora oggi i pregiudizi esistono e dobbiamo lottare per poterli eliminare.
Tutte noi siamo rimaste unite, abbiamo lottato tutte insieme, e queste battaglie affrontate non si dimenticano, anzi, vanno mantenute perché ciò che viene guadagnato sul campo non è mai scontato. Continuo con la speranza che un giorno tutte queste bambine possano arrivare a fare quello che abbiamo fatto noi. Per il calcio femminile del futuro mi auguro una crescita esponenziale. In tutto il mondo si stanno accorgendo che può dare tante soddisfazioni e credo che anche noi in Italia, pur arrivando dopo gli altri, potremo fare meglio”.