Calcionews24
·22 agosto 2025
Antognoni: «Rimpiango lo scudetto, non la Juve, rifarei tutto ciò che ho fatto. Bearzot? Un secondo padre. Amavo Rivera, ma non sono nato numero 10»

In partnership with
Yahoo sportsCalcionews24
·22 agosto 2025
Una bandiera che non si ammaina mai, un numero 10 la cui classe continua a risplendere nel firmamento del calcio italiano. Giancarlo Antognoni è la Fiorentina. Un legame indissolubile, una storia d’amore durata quasi vent’anni, forgiata nel talento puro, ma anche nel dolore di un infortunio terribile che ne ha messo a rischio la vita e nella lealtà di un uomo che ha sempre anteposto i colori viola a qualsiasi altra cosa.
Campione del Mondo nel 1982, capitano e simbolo di un’intera città, “L’Unico 10” è un patrimonio del nostro calcio, un uomo la cui eleganza in campo era pari solo alla sua umiltà fuori. Oggi, a 71 anni, con il suo nuovo ruolo di capo delegazione dell’Under 21, continua a essere un punto di riferimento per le nuove generazioni. Con La Gazzetta dello Sport, Antognoni apre l’album dei suoi ricordi.
RIMPIANTI – «Mi hanno corteggiato tante società, ma non ho rimpianti. Rifarei esattamente quello che ho fatto. Ogni mia decisione è sempre sofferta, ma non mi pento mai. O meglio, un rimpianto ce l’ho, anche se sono campione del mondo, non sono riuscito a far vincere di più la Fiorentina».
LO SCUDETTO DEL 1982… – «L’avremmo meritato, quella era una squadra moderna, giocava un gran calcio. Purtroppo sono rimasto fuori 15 partite per il terribile scontro con Martina del Genoa e, senza nulla togliere a chi mi ha sostituito, credo che con me quei due punti in più che servivano li avremmo fatti».
CHI É OGGI A 71 ANNI – «Un uomo felice. Il calcio mi ha dato tanto. Tutto. La notorietà, i soldi, gli affetti. Ho una bellissima famiglia che sento sempre vicina e mi ha sostenuto nei momenti di difficoltà. Ho fatto quello che ho sempre desiderato: giocare al pallone».
COME NASCE UN NUMERO 10 – «Come si diventa, perché in realtà ho debuttato in serie A a 18 anni nel 1972 in Verona-Fiorentina con la maglia numero otto».
IL 10 É UNO STATO D’ANIMO – «È vero. Da bambino ero innamorato di Gianni Rivera, mi piaceva il suo estro, la fantasia, anche l’anarchia. Dormivo con il pallone sotto il cuscino. A dodici anni abitavo a Perugia, mi sono fatto portare a Bologna per vedere il Milan».
BEARZOT LO LASCIAVA LIBERO DI INVENTARE – «Lui, ma anche Liedholm. Per me sono stati secondi genitori prima che allenatori. Maestri di vita, una grande capacità di capire l’uomo, non solo il calciatore. Bearzot è venuto a trovarmi in ospedale, avevo la testa rotta, mi ha convocato lo stesso per il mondiale con sette mesi di anticipo. Fra i grandi ci metto pure De Sisti. Anche lui come me ha sposato Firenze, ha vinto poco, meritava di più, ma ha sempre l’affetto di un numero dieci».
GUARDA SEMPRE LE STELLE COME QUANDO GIOCAVA – «Sempre, sono un romantico. Ma in campo devono stare attenti, con il pressing di oggi quando riabbassano gli occhi la palla non c’è più».
Live