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Francesco Porzio·24 aprile 2018
"Ago", il capitano che si suicidò dieci anni dopo Roma-Liverpool

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Francesco Porzio·24 aprile 2018
In occasione del compleanno di Agostino Di Bartolomei vi riproponiamo questo suo ritratto pubblicato alla vigilia della semifinale di Champions League contro il Liverpool.
La leggenda di Ago. Stiamo parlando di Agostino di Bartolomei, capitano della Roma negli anni 80′. Una carriera gloriosa, finita però tragicamente, con il suicidio del 30 maggio 1994, esattamente dieci anni dopo la finale di Coppa dei Campioni, persa ai calci di rigore.
Una partita, una finale, che è entrata nella storia. Doveva essere una favola, e invece ancora oggi viene ricordata come uno dei giorni più tristi della storia giallorossia. Roma-Liverpool oggi si incontrano ancora una volta, e il pensiero va a quella partita, e a quel capitano, scomparso troppo presto.
Ago nasce e cresce come giocatore nelle giovanili della Roma. Mai compreso fino in fondo dall’ambiente calcistico, e questa sarà una cosa che lo tormenterà per tutta la carriera. La Curva giallorossa lo ha sempre amato, perchè era un punto fermo di quella squadra, che poi vinse lo Scudetto del 1983.
“Non è un personaggio mondano come Falcao, non è un eroe nazional popolare come Bruno Conti, ma per i tifosi della Sud una sua parola è quasi vangelo. Anche perché lui parole non ne spreca di certo, dunque va ascoltato, perché se parla significa che ha qualcosa da dire” scrive di lui la Gazzetta dello Sport.
Proprio nel 1984, a fine stagione, lasciò la sua amata Roma. Il neo-arrivato Eriksson non lo vedeva come punto fermo di quella squadra, e così se ne andò al Milan.
I tifosi giallorossi gli dedicarono uno striscione: “Ti hanno tolto la Roma, ma non la tua curva”.
30 maggio 1984, finale di Coppa dei Campioni, la Roma perde ai calci di rigori contro il Liverpool. Decisivi gli errori di Graziani e Bruno Conti dal dischetto.
Una partita che Ago non dimenticherà mai, purtroppo.
Lasciata la Roma approdò al Milan dove giocò per tre stagioni, senza però vincere trofei. La sua storia in rossonero finì con l’arrivo di Berlusconi e Sacchi che ancora una volta non lo vedevano come uomo fondamentale del nuovo corso.
Contro la Roma ci giocò, eccome. La prima volta fece ancora gol contro la sua ex squadra, esultando in maniera plateale, come rivalsa contro chi lo aveva “scaricato”. Il ritorno, a Roma, finì praticamente in rissa. Un amore finito male. La metafora di una vita, della sua vita.
Giocò gli ultimi anni di carriera con le maglie di Cesena e Salernitana, con cui conquistò ancora da capitano una storica promozione in Serie B.
Abbandonato dal mondo del calcio, si trasferisce a Castellabate, in provincia di Salerno. Nonostante qualche apparizione in Rai, la sua vita dopo essersi ritirato non è stata facile quanto avrebbe voluto.
Così, il 30 maggio 1994, decide di farla finita. Una Smith e Wesson calibro 38. Un colpo al petto. Ha “scelto” un giorno preciso: dieci anni esatti dopo la finale di Roma contro il Liverpool.
Ha lasciato scritto in un biglietto: “Mi sento chiuso in un buco”. Istantanea di una vita passata a difendere gli altri prima che se stesso. E, come spesso accade, la grandezza di una persona viene scoperta quando è troppo tardi. Perchè “Ago” avrebbe meritato certamente qualcosa di diverso. Magari, se la Roma avesse vinto quella finale maledetta, oggi non saremmo qui a scrivere questa storia. Ma questo non lo potremo mai sapere. Purtroppo.