Calcionews24
·10 Juni 2025
Simone Pepe: «A Roma con Capello facevano un altro sport, ma con la Juve ho vinto e vissuto i miei sogni. Un allenatore mi disse di andarmene, ma ho avuto ragione io»

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·10 Juni 2025
Corsa, sacrificio e un cuore grande. Simone Pepe ha rappresentato per un decennio l’archetipo dell’esterno instancabile, un giocatore che ha fatto della generosità e della dedizione il suo marchio di fabbrica. Capace di arare la fascia per novanta minuti, ha legato i suoi momenti migliori all’Udinese e, soprattutto, alla prima Juventus vincente di Antonio Conte, contribuendo da protagonista alla conquista di scudetti indimenticabili con la sua grinta e i suoi scatti. Apprezzato da allenatori e tifosi per la sua abnegazione, non si è mai risparmiato, lottando anche contro una lunga serie di infortuni. Oggi si è raccontato in una sincera intervista concessa a La Gazzetta dello Sport, ripercorrendo le tappe di una carriera vissuta sempre al massimo.
IL SORRISO – «È questione di carattere. E il mio, me lo lasci dire, non lo cambio con nessuno. Pregi e pure difetti, certo. Mi sono trovato bene dappertutto: nord, sud, Sicilia, Sardegna, grandi città, provincia. Sono stato fortunato a fare la vita che volevo. Ho vinto quattro scudetti con la Juve, ho giocato un Mondiale e vissuto tutti i miei sogni. Il buonumore mi ha sempre accompagnato. Sono stato fermo due anni per infortunio, una sofferenza grande, ma non ho mai saltato un giorno di allenamento. Arrivavo a Vinovo, mettevo la tuta, andavo in campo, guardavo gli altri e mi chiedevo cosa potessi fare per rendermi utile, per aiutare i miei compagni a vincere. I cross, i gol e le corse su e giù per la fascia sono importanti, ma poi ci sono altre cose. E allora cercavo di sorridere, di tenere su il morale anche quando si perdeva, di caricare il gruppo. Se mi vedevano lì, e sapevano quanto mi dispiaceva non poter correre con loro, magari avrebbero fatto uno scatto in più per me. Che poi, non saranno mica quelli i problemi della vita no?».ROMA – «Tante panchine con Capello, ma il campo l’ho visto solo da seduto… Però bisogna essere onesti: quella Roma era esagerata, livello troppo alto. Facevano un altro sport rispetto a me».IL RUOLO PREFERITO – «In C e in B segnavo tanto, ma in A da attaccante non la beccavo mai. La mia fortuna fu cambiare ruolo e allargarmi. E riconosco di essere stato molto bravo a reinventarmi in un ruolo diverso. Accadde a Udine: c’erano sei punte tra cui Di Natale, Quagliarella, Floro Flores. Comincio il ritiro e Pasquale Marino mi dice: “Simone, apprezzo tantissimo l’impegno, vai a 200 all’ora, ma qui non giocherai mai”. Io avevo qualche proposta, ma gli rispondo che sarei rimasto se mi avesse promesso di darmi una chance appena possibile. E così fu. Nelle prime dieci giornate gioco al massimo un’oretta. Poi a Firenze qualcuno è infortunato, qualcun altro non vuole fare l’esterno e tocca a me: faccio un assist a Quagliarella, uno a Di Natale, vinciamo 2-1 e non esco più. Un anno dopo sono in Nazionale».COME CONTE HA CAMBIATO LA JUVE – «Stravolgendo il modo di pensare calcio. Portò un cambiamento totale nel lavoro a livello tattico, fisico, delle conoscenze. Iniziammo in ritiro con il 4 2-4, ma l’arrivo di Vidal lo spinse a modificare il modulo. Ci sono due aspetti in cui Conte non ha rivali: la preparazione della gara e la comunicazione con i giocatori. Tocca sempre i tasti giusti. Ripenso al famoso discorso a Vinovo durante lo sprint con il Milan nel 2012. Tanti allenatori parlano, ma non ti resta nulla. Le parole di Conte invece entrano in testa e arrivano al cuore. Quando dice “Oggi a questi gli mettiamo il campo in salita”, tu te lo immagini proprio in pendenza. In settimana era tipo “si salvi chi può”, eh: una fatica enorme. Però in partita al 70’ i nostri avversari erano in coma e per noi era come essere al 40’. A Napoli ha fatto un altro capolavoro».