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·30 Mei 2025
Da Torino a Napoli, i ritorni incompiuti e le promesse mantenute: Conte e le rivoluzioni mancate

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Nell’estate del 2014, la Juventus e Antonio Conte si separarono bruscamente. Il tecnico salentino, reduce da tre scudetti consecutivi, lasciò la panchina bianconera a ritiro iniziato. In sottofondo, una frase rimasta celebre — quella dei “ristoranti da 100 euro” — sintetizzava il dissenso sulla linea della società, impegnata allora nel rispetto dei vincoli del fair play finanziario. Tra i nomi richiesti e mai arrivati, quello di Juan Cuadrado: sarebbe giunto in seguito, ma quando ormai le strade si erano già divise.
Da quel momento la Juventus sarebbe cambiata. Avrebbe imboccato la via degli investimenti dispendiosi, fino all’epoca di Cristiano Ronaldo, delle operazioni spettacolari e talvolta azzardate. Un’evoluzione che avrebbe portato anche all’allontanamento di Giuseppe Marotta, figura storica del club e architetto di quella Juve vincente. Proprio Marotta, qualche anno più tardi, avrebbe ritrovato Conte all’Inter, portandolo sulla panchina nerazzurra. Il contesto, però, era diverso: dietro il club milanese c’era Suning, un gigante cinese il cui modello economico — basato sul commercio al dettaglio — si è rivelato fragile, travolto dall’impatto della pandemia. L’addio di Conte all’Inter, nell’estate 2021, fu l’epilogo inevitabile di una gestione segnata da tagli e sacrifici tecnici. Via Hakimi, via Lukaku: il progetto non poteva più reggere.
Ora la permanenza a Napoli, dopo undici anni di distanza da quella rottura con la Juventus, ha un sapore diverso. Non sono mancati i segnali di tensione: per mesi, Conte e il presidente De Laurentiis non si sono parlati. Fino a pochi giorni fa si parlava apertamente di un possibile addio “consensuale”, prima ancora di iniziare. Eppure, qualcosa è cambiato. Le promesse del presidente — di cui non si conosce l’esatto contenuto — hanno convinto Conte a rimanere. Forse l’ingaggio di Kevin De Bruyne, obiettivo ambizioso ma concreto, ha fatto la differenza. Ma la tenuta del progetto dipenderà da molto di più: investimenti mirati in ogni reparto, un piano sportivo solido dopo l’uscita di scena di Victor Osimhen, e una visione capace di ridare ambizione a una piazza che non vuole vivere di ricordi.
Andrea Alati