Calcio (e Stato) ai piedi della Chiesa. Il rinvio del turno di Pasquetta per la morte del Papa è una vergogna nazionale | OneFootball

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·23 April 2025

Calcio (e Stato) ai piedi della Chiesa. Il rinvio del turno di Pasquetta per la morte del Papa è una vergogna nazionale

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Questo articolo non vuole essere un attacco alla confessione cattolica e al sentimento religioso di nessun individuo. C’è la consapevolezza di non dire nulla di particolarmente originale, poiché le critiche sono state certamente più dei plausi per quanto concerne il mondo del calcio a seguito della scelta di rinviare tutte le gare dalla Serie A alla Serie D previste a Pasquetta a causa della morte di Papa Francesco.

Venti anni fa accadde lo stesso con Giovanni Paolo II, ma il mondo nel frattempo è cambiato in modo radicale e anche quello del calcio lo è. Non è una vaga teoria, ma un dato facilmente riscontrabile che la percentuale di popolazione praticante sia calata vertiginosamente. Se prima lo Stato poteva appellarsi al sentire diffuso al cospetto della solo formale laicità sancita dalla Costituzione, ora le basi di questo discorso sono assai friabili.


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A ciò si aggiunge, per il disastro perfetto, la compressione dei calendari e il preavviso inesistente. Qui ci focalizzeremo unicamente sulla Serie B: possiamo osservare da un lato lo sfalsamento della regola casa-trasferta nel finale di stagione a causa dello slittamento del 34° turno a fine campionato, dall’altro le trasferte inutilmente sostenute da parte dei club e soprattutto dei tifosi accorsi in massa anche in trasferta per regalarsi una Pasquetta all’insegna dello spettacolo.

Messa in questi termini, potrebbe emergere un ideale prettamente consumistico e capitalista. Non è così: il calcio è un’industria multi-milionaria, ma nei 90 minuti della gara resta un gioco. Dinanzi a eventi che squarciano l’armonia collettiva un gioco va assolutamente fermato, ma non è questo il caso in cui ciò accade. Il decesso di un uomo di 88 anni gravemente malato, anche se capo della Chiesa cattolica, non turba la collettività. Non è possibile continuare a far coincidere l’enorme numero di fedeli con la popolazione italiana. L’epicentro del cristianesimo si è spostato, con grande rapidità, in altre zone del mondo.

Il servilismo dello Stato e della FIGC non ha fondamenta non solo legali, ma neppure legate a un più pratico buonsenso. Le istituzioni si pongono in una condizione di subalternità rispetto al Vaticano che è ormai antistorica. A pagarne le spese è la spettacolarità di una competizione che non avrebbe offeso nessuna memoria e non avrebbe causato alcuna angustia interiore né a chi l’avrebbe disputata né a coloro i quali avrebbero assistito all’evento. Si tratta di una grande occasione persa per mettersi in pari col proprio tempo, che lascia grande amarezza. Una vergogna nazionale a cui ci si adegua con troppa passività.

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