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·17 août 2024

Tra proprietà italiane e straniere: la nuova Serie A alla prova di sostenibilità e competitività

Image de l'article :Tra proprietà italiane e straniere: la nuova Serie A alla prova di sostenibilità e competitività

Il campionato che prende il via questo weekend è probabilmente il torneo dalla matrice più straniera e dalla componente economica più sviluppata della storia della nostra Serie A.

Su 20 squadre dieci delle partecipanti al massimo campionato nazionale hanno proprietà non italiane: Bologna, Como, Genoa, Fiorentina, Inter, Milan, Parma, Roma, Venezia. Oltre a queste vi è da considerare l’Atalanta, controllata al 55% dall’imprenditore americano Stephen Pagliuca e soci e al 45% dai Percassi.


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Infine, c’è chi sottolinea il caso della Juventus, che è controllata dalla holding Exor che ha sede nei Paesi Bassi. Questa però è a sua volta controllata, tramite la scatola olandese Giovanni Agnelli Bv, dalla società Dicembre dei fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann, che ha sede a Torino. E pertanto in controluce può essere considerata italiana.

Entrando nello specifico va notato come le proprietà straniere nel nostro campionato siano quasi interamente nordamericane. Ad eccezione del Como indonesiano, le altre sono otto società possedute da capitali statunitensi con la sola intrusione del Bologna del canadese Joey Saputo. Segno evidente di come il mondo del business a stelle e strisce abbia messo nel mirino il nostro sport più popolare per investire nel calcio europeo. L’Italia non a caso è, dopo la Premier League, il campionato con il maggior numero di squadre di proprietà USA nel Vecchio continente. Per altro su 20 squadre in Serie A almeno tre (Genoa, Inter e Milan) sono controllate o partecipate da fondi di investimento e quindi da investitori con una logica improntata al guadagno ancora più spinta di quella che non possano avere proprietà familiari quali i Friedkin oppure i Krause.

Proseguendo nel parallelo con la Premier League, come più volte notato su queste pagine, va segnalato che gli investimenti americani in Inghilterra hanno una logica diversa da quelli in Italia. Oltremanica si investe, anche pagando molto per avere un club, sapendo che questi possono portare a grandi utili ed è quindi un investimento più simile a quello che viene pianificato per l’acquisto delle franchigie statunitensi nei vari sport USA.

In Italia invece l’interesse è più legato ai prezzi bassi di acquisizione e alle prospettive di sviluppo dei club. Questo potenziale sviluppo però passa spesse volte per la costruzione di nuovo stadio, idea che però sovente incappa nei meccanismi burocratici della normativa italiana. In questo quadro sarà interessante seguire i prossimi passi di proprietà come quelle di Milan, Parma e Roma che sembrano fare sul serio nella costruzione di un nuovo impianto. Anche l’Inter con la nuova proprietà targate Oaktree sembra voler procedere su questa strada ma al momento è ancora indietro.

Non sorprende quindi che almeno all’intertempo di metà estate gli impatti a bilancio della sessione di calciomercato, almeno per le tre grandi tradizionali del nostro calcio (Inter, Juventus e Milan), siano quasi tutti positivi confermando una tendenza alla sostenibilità economica che iniziata da qualche anno a questa parte.

La sostenibilità finanziaria è d’altronde diventata un mantra per le società. Il Milan, per esempio, chiuderà il secondo bilancio in utile consecutivo dopo che il fondo Elliott aveva salvato il club dall’ incubo (per usare le parole del Presidente Paolo Scaroni) della gestione Yonghong Li. L’Inter, dal canto suo, pur avendo subito il passaggio di proprietà perché Steven Zhang non ha onorato i suoi debiti personali verso Oaktree, ha i conti della gestione ordinaria in netto miglioramento ed è vicina al pareggio.

SOSTENIBILITA’ ITALIANA: IL CASO DI LOTITO ALLA LAZIO

Non c’è dubbio quindi che l’entrata nel nostro calcio di player di grande competenza economica abbia portato una maggiore attenzione verso la sostenibilità dei conti. Detto questo non bisogna cadere nell’errore di considerare le sole proprietà straniere quali le portabandiera della sostenibilità economica, Anche perché due di esse (quella di Yonghong al Milan e quella degli Zhang all’Inter) hanno terminato la loro esperienza ai vertici dei due club milanesi per non avare onorato i propri impegni.

Inoltre, perché a ben guardare sono due proprietà italianissime e dalla gestione tradizionale che meglio di tutte per oltre 20 anni sono riuscite a coniugare competitività sportiva e numeri di bilancio: Claudio Lotito alla Lazio e Aurelio De Laurentiis al Napoli, piacciano o non piacciano ai loro tifosi, hanno ottenuto esiti eccellenti.

L’era Lotito, sicuramente tra le tre più vincenti della storia biancoceleste dopo quelle scudettate di Cragnotti e Lenzini, vede nell’arco della sua intera durata un segno positivo in termini di bilancio: dal 2004/05 al bilancio semestrale al 31 dicembre 2023, infatti, la Lazio ha registrato ricavi per 2,4 miliardi di euro, con un risultato netto aggregato positivo per poco più di 60 milioni di euro. In totale, infatti, sono stati 12 i bilanci chiusi in utile, rispetto agli otto chiusi in perdita, con un patrimonio netto in sofferenza negli anni post-Covid ma che, complice la stagione 2023/24 tra partecipazione alla Champions League e cessioni, dovrebbe restare in positivo.

L’OPERA DI DE LAURENTIIS TRA NAPOLI E BARI

Per quel che concerne il Napoli e la gestione De Laurentiis, va segnalato come il presidente partenopeo faccia talmente bene con le squadre di calcio (oltre al Napoli c’è anche il Bari) da sostenere i conti delle altre sue aziende. Come ha svelato questa pubblicazione, la FilmAuro, la holding di De Laurentiis, è tornata a chiudere in utile il bilancio consolidato al 30 giugno 2023 con un risultato positivo per 78 milioni. A spingere i conti della holding sono stati in particolare i ricavi del Napoli, che nella stagione 2022/23 ha centrato il suo terzo scudetto della storia chiudendo l’annata con numeri record anche a bilancio. In particolare, dopo il rosso di 34,7 milioni nel 2020, di 66 milioni nel 2021 e quello di 62 milioni nel 2022, i conti della holding del patron della società partenopea sono tornati a chiudere in utile, con un peso sempre più rilevante da Napoli e Bari, di fatto le principali società del gruppo.

Nel particolare il fatturato è aumentato addirittura del 106%, più che raddoppiando quindi da 190,9 a 394,1 milioni. Ma è la divisione per cabali di entrata a spiegare bene l’importanza del business calcio per la holding.

In particolare, i ricavi sono stati pari a :

  • 9,54 milioni per attività cinematografica (6,18 milioni al 30 giugno 2022)
  • 0,97 milioni per attività theatrical (0,97 milioni al 30 giugno 2022)
  • 364,64 milioni per attività calcistica (169,19 milioni al 30 giugno 2022)
  • 0,27 milioni per sfruttamento musicale  (0,20 milioni al 30 giugno 2022)
  • 18,18 milioni per altri ricavi (14,37 milioni al 30 giugno 2022)

Guardando al fatturato, quindi, i proventi della gestione calcistica hanno pesato, sul totale del valore della produzione, per il 92,5% (88,6% al 30 giugno 2022).

In aumento nel corso della stagione 2022/23 sono stati anche i costi, passati da 271 a 278 milioni (+3%). Un aumento in particolare imputabile «prevalentemente, alla gestione della S.S.C. Bari S.p.A. che ha visto aumentare i costi del personale tesserato (oltre 3,8 milioni di euro in più rispetto alla passata stagione) e i costi per gli ammortamenti dei diritti relativi all’acquisizione delle prestazioni professionali dei calciatori (circa 1 milione di euro in più rispetto alla passata stagione)».

L’utile prima delle imposte è così salito a 117,1 milioni con un incremento di 197,4 milioni rispetto alla perdita del precedente esercizio, mentre l’utile netto è pari ad 78,6 milioni di euro circa (al 30 giugno 2022 il risultato era negativo di Euro 62,9 milioni).

Alla luce dell’utile, il patrimonio netto della holding del presidente del Napoli è tornato a salire, con una crescita da 95,9 milioni ai 175,5 milioni.

Insomma, se non ci sono dubbi che le proprietà straniere abbiamo portato con loro una grande attenzione ai numero di bilancio, soprattutto se si paragona il loro modo di agire con quelli dell’era dei presidenti mecenati quali Moratti o Berlusconi, non va disconosciuto anche il merito di chi, operando in autonomia e in maniera tradizionale, ha saputo coniugare competitività sportiva e numeri. A conferma ancora una volta che se in campo non esiste uno schema di gioco che dia la sicurezza di vincere, anche nella gestione dei club ognuno deve trovare il metodo a lui congeniale.

LA JUVENTUS E LA MAGLIA SENZA SPONSOR

Per la prima volta da quando sono stati ammessi gli sponsor di maglia in Serie A (stagione 1981/82) la Juventus, il club più titolato e con il maggior numero di tifosi in Italia, prende il via della stagione senza lo sponsor principale. I manager bianconeri erano andati vicini a chiudere una intesa ma poi l’operazione non è stata siglata per motivazioni politiche. Il sito Lettera 43, in particolare ha parlato di una intesa con la compagnia aerea ITA per tre stagioni per un ammontare di 41 milioni. La cifra sarebbe stata inferiore ai 30 milioni all’anno che Emirates assicura al Milan e ai 30 milioni a stagione che Betsson spende per apparire sulla maglie dell’Inter. Però sarebbe stata una buona iniezione di cassa per la società bianconera.

Quel che è sicuro, però, al di là di come siano andate le cose è che se la Juventus inizia il campionato senza sponsor significa che non c’era la coda di aziende alla Continassa per chiudere una intesa. E questo, aldilà di come la si veda o per quale squadra si tifi non è un bel segnale per il calcio nazionale.

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