Calcionews24
·9 juin 2025
Spalletti, le lacrime e gli addii dei Ct azzurri: da Zoff a Lippi, tra rabbia e silenzi, ecco come si dimette (o viene esonerato) chi va via dalla Nazionale

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·9 juin 2025
Le lacrime di Luciano Spalletti, ieri, durante la conferenza d’addio alla Nazionale, sono solo l’ultimo capitolo di una storia lunga e tormentata. Quella degli addii dei commissari tecnici azzurri è una galleria di emozioni umane e professionali che racconta il peso, l’onore e la condanna di sedere sulla panchina più prestigiosa e logorante d’Italia. Ogni addio ha avuto un sapore diverso: rabbia, orgoglio, delusione, vergogna o, come nel caso di Spalletti, un’inconsolabile commozione. Ripercorrere questi momenti significa rivivere le tappe cruciali del nostro calcio.
Il viaggio può iniziare nel 2000 con l’addio più furente e dignitoso di tutti: quello di Dino Zoff. Dopo un Europeo perso al golden gol, fu bersaglio di una critica feroce da parte di Silvio Berlusconi. La sua risposta fu una conferenza stampa memorabile, non di pianto ma di orgoglio ferito: «Non mi faccio processare da nessuno. Vi do una notizia, me ne vado». Un gesto di un’integrità d’altri tempi. Più sommesso fu l’addio di Giovanni Trapattoni nel 2004, dopo il “biscotto” danese-svedese agli Europei. Il suo fu un commiato amaro, quello di un tecnico che sentiva di aver lavorato bene ma che non era riuscito a superare un destino beffardo, lasciando senza il consueto clamore.
La storia degli addii non può prescindere dalle due facce di Marcello Lippi. Nel 2006, da Campione del Mondo, il suo fu un addio sereno, quasi filosofico. Lasciò da vincitore assoluto, al culmine della gloria, affermando di aver esaurito il proprio ciclo. Quattro anni dopo, in Sudafrica, la scena fu opposta: dopo una disfatta storica, si presentò davanti alle telecamere per un atto di totale e pubblica contrizione. «Mi assumo tutte le responsabilità», disse con la voce rotta, incarnando la sconfitta di un’intera nazione. In mezzo, l’addio composto di Roberto Donadoni (2008), silurato per un rigore sbagliato e per far posto proprio al ritorno di Lippi.
Se c’è un addio che simboleggia la responsabilità istantanea è quello di Cesare Prandelli nel 2014. Dopo l’eliminazione dal Mondiale in Brasile, si dimise lì, nella pancia dello stadio di Natal, in diretta mondiale. Un gesto netto, irrevocabile, dettato dal fallimento di un progetto tecnico in cui credeva profondamente. All’estremo opposto si colloca il non-addio di Giampiero Ventura nel 2017. Dopo la catastrofe contro la Svezia, non ci fu una vera conferenza, ma un’intervista surreale in mixed zone, senza dimissioni immediate, prima di un esonero inevitabile. Fu l’addio del silenzio, della fuga dalla responsabilità, una ferita ancora aperta.
Gli ultimi anni hanno visto divorzi moderni. Quello di Roberto Mancini nel 2023 non è avvenuto in una conferenza, ma tramite una fredda PEC, seguito da un botta e risposta velenoso a mezzo stampa con la Federazione. Un addio acrimonioso, figlio di incomprensioni e nuove opportunità. E così si arriva a ieri, alle lacrime di Luciano Spalletti. Le sue non sono state di rabbia come quelle di Zoff, né di sconfitta come quelle di Lippi. Sono apparse come il dolore sincero di un uomo passionale che ha sentito di non poter completare la sua missione, lasciando trasparire un amore profondo per quella maglia. Ogni addio, a suo modo, è lo specchio del suo tempo.