Pagine Romaniste
·17 avril 2025
Soulé: “Puntiamo ancora alla Champions. Il gol al derby è frutto della fiducia che ho acquisito grazie a Ranieri”

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·17 avril 2025
Il Romanista – «Non me n’ero accorto che fosse entrata. Poi non ho capito niente, non sapevo dove andare, cercavo con lo sguardo la mia famiglia». Matias Soulé Malvano ha rilasciato una lunga intervista in cui ha parlato di quasi tutto ciò che lo può riguardare: dall’infanzia alle emozione del gol al derby. Le sue parole:
«Prego».
«Bellissimo, è stato davvero speciale. Non me lo aspettavo, parlando con la mia famiglia prima della partita mi avevano detto: “Guarda se fai un gol nel derby…”. Dopo aver segnato li ho cercati con gli occhi ma senza trovarli, li ho trovati dopo, a fine gara. Durante l’esultanza non sapevo cosa fare, poi è stato un peccato aver pareggiato perché abbiamo cercato di vincere, ma è stato bellissimo, un’emozione unica. Se ho capito subito fosse entrata? All’inizio ho pensato di no. Poi quelli in panchina mi hanno subito detto che era entrata, perché si trovavano di lato. Io pensavo non fosse entrata. E invece…».
«Penso soprattutto la fiducia in me stesso, che mi è stata data ogni giorno di più grazie soprattutto all’allenatore e a tutti i miei compagni. Penso sia questo: la fiducia e la testa. So che ho avuto un inizio che non mi aspettavo, non lo volevo e non lo immaginavo in quel modo. Però come ho detto prima è tutta una questione mentale, per fortuna adesso le cose stanno andando un po’ meglio e sono contento di questo».
«Io sono nato con il pallone. I miei dicono che già a tre anni e mezzo volevo andare a giocare, e così sono andato in una scuola calcio, ma ero troppo piccolo. Sono andato con mio fratello più grande e i suoi amici del quartiere, lui è di cinque anni più grande di me e io giocavo con loro, mi facevano giocare. Facevamo dei tornei in cui chi vinceva aveva in regalo una Coca-Cola. Non ho pensato realmente di arrivare fin qui da bambino. Io sono di Mar del Plata, giocavo lì, le squadre forti sono a Buenos Aires, quindi ciò che volevo era andare a Buenos Aires. Chiamavo mio padre e dicevo “guarda che qui c’è un provino”, e lui mi rispondeva di non infastidirlo, che stava lavorando. Poi è successo che mi è stato proposto di fare un provino, sono andato al Vélez Sarsfield e sono stato sei anni lì».
«Sì, per mio papà e mio nonno, che sono tifosi. Sono andato a vederli, ma mai nel derby contro il Racing. Le due squadre hanno gli stadi a 100 metri l’uno dall’altro».
«Sì, penso che tutti i derby in Argentina sono simili, ovviamente quello tra Boca Juniors e River Plate, il Superclásico è più famoso. Però secondo me la tifoseria della Roma è al livello di quelle argentine, ci sono tante somiglianze».
«Ero al Vélez Sarsfield, ma non avevo ancora un contratto, e diverse squadre mi volevano. Tra queste c’erano la Juventus, il Monaco, l’Atletico Madrid. Ma ho subito deciso di venire in Italia, neanche ci ho pensato su».
«Sì, è stato un casino! Mi avevano tolto dall’Under 16 senza avermi mai detto che volevano farmi un contratto, quindi poi mi hanno detto che non potevano farmi allenare. Da lì sono andato via».
«Sì, era uscito sui giornali che non volevo firmare e quindi mio padre mi è venuto a prendere e mi ha riportato a Mar del Plata».
«Sì. Sono venuto con la mia famiglia: per me, ma anche per loro, stava cambiando tutto. Stavo con loro, essendo minorenne non potevo venire da solo quindi sono venuto con loro, mi sono allenato uno o due mesi, poi c’è stato il Covid e sono praticamente rimasto chiuso in casa. Questo mi ha messo un po’ in difficoltà, per esempio per imparare la vostra lingua: stando chiuso in casa con la mia famiglia argentina era un po’ difficile. Però poi mi sono abituato velocemente».
«Noi sappiamo meno di voi (ride, ndr)! Da Allegri ho imparato tantissimo, poi sono andato al Frosinone per giocare di più, però sono stato un anno con lui. Il mister voleva che giocassimo molto stretti per non far passare la palla e andare poi. Credo che per lui l’aspetto fondamentale sia quello, poi ti lascia tanta libertà».
«Sì, penso che i loro modi di giocare siano anche un po’ simili. Anche lui vuole che stiamo chiusi senza far passare la palla, per poi uscire senza rischiare in mezzo. Con me, appena arrivato, si vedeva che sapeva già che mi trovavo in difficoltà. Mi disse: “Ora che sai bene di essere in difficoltà, l’unica cosa che puoi fare è giocare semplice, che poi piano piano ti verranno anche delle cose migliori. Ora devi essere più concreto”. Lui è così, arriva con semplicità al concetto, ci ha tranquillizzato con le parole. Lui parla, e tu sai che ha l’esperienza dalla sua. Ci ha tranquillizzati nel brutto momento in cui ci trovavamo».
«Sì, c’era il Bologna negli ultimi giorni di mercato. Non stavo giocando tanto, quindi chiesi a Ranieri che cosa dovessi fare, e che ne pensasse al riguardo. Lui mi disse: “Stai tranquillo. Ora le cose non stanno andando bene, ma avrai le tua opportunità”. Poi alla fine del mercato era arrivata un’altra offerta, dal Fulham, ma mi hanno detto di rimanere qua. Io ovviamente non volevo andare via, ma parlare con Ranieri mi ha aiutato».
«Io sono arrivato anche per Daniele De Rossi. Lui è andato via dopo solo quattro partite, e lì è stata dura, perché pensavo: “Mi ha portato Daniele, e ora che succederà?”. Ovviamente sono stato male, non ho pensato fosse stata una scelta sbagliata, ho capito che ci sono dei momenti più difficili in cui non si può mollare”.
«Troppo. Ieri (martedì, ndr) mi ha mandato un messaggio per il mio compleanno e soprattutto per il gol. È stato fondamentale, quando ero alla Juventus e sapevo che sarei andato via, ho avuto una chiamata con lui e mi ha convinto subito, mostrando che voleva farmi giocare, e che nel gioco suo, che avevo già visto, mi sarei trovato bene». A Frosinone hai cercato di fare un gol incredibile contro la Roma, ma hai trovato una risposta pazzesca di Svilar. Quanto è forte e quanto è difficile segnargli anche in allenamento? «Le cose che fa in partita le fa anche in allenamento. Io gli chiedo sempre: “Ma come fai?”. Sembra un gatto, quella parata lì che mi fece a Frosinone, me l’ha ripetuta identica una settimana dopo il mio arrivo durante un allenamento. Io ero convinto di aver segnato… mi avevano detto che lui si spostava troppo a destra e che avrei dovuto calciare più sul primo palo. Ma serve a poco. Tanto la para uguale!».
«Ovviamente, io sinceramente avevo piena fiducia. Peccato perché lì non c’è stata una partita. Hummels si è scusato nello spogliatoio. Io credo che il rosso fosse almeno da valutare, poteva essere giallo. La partita era appena iniziata, non ci potevamo credere. I loro tifosi creavano atmosfera anche per un fallo laterale, poi l’espulsione è stata decisiva».
«È stato bellissimo con tutte quelle bandiere. Alla fine, col gol di Shomurodov, è stato incredibile. Non ho mai esultato così in vita mia, almeno in questi pochi anni. Credo sia davvero simile il tifo argentino e quello di Roma. Lì sono matti, ma qua pure… Tutte le bandiere, lo stadio pieno. In tutte le partite poi: se giocassimo di lunedì a mezzanotte, lo stadio sarebbe sempre pieno».
«Io sono venuto a Roma per vedere le partite della Roma grazie a Dybala e Paredes. Gli chiedevo i biglietti per poter venire all’Olimpico. Mi hanno sempre parlato del tifo, ma l’ho vissuto anche in prima persona. Quando ho giocato con il Frosinone, all’Olimpico, quando siamo entrati in campo è partito l’inno ma per la concentrazione non sono riuscito a sentirlo bene come ho fatto poi quando sono venuto a vedere le partite dalla tribuna. Lì, insieme alla mia famiglia, siamo impazziti».
«Il guardalinee non mi ha capito. Io ho fatto una M verso la telecamera, sono le nostre iniziali. Lui non mi ha visto, la gente ha cominciato a far rumore e ha creduto fosse una provocazione verso la curva. Quando è iniziato il secondo tempo ho chiesto all’arbitro se avesse rivisto l’episodio, lui mi ha detto: “Tranquillo, ho capito che non hai provocato nessuno”. Però l’ammonizione me la sono comunque presa (ride, ndr)! Milagros era contenta per la dedica, solo che gli amici le hanno dato la colpa dell’ammonizione».
«Sì, è molto speciale, si chiamava Olga. Il numero l’ho scelto quando sono andato al Frosinone perché era il suo numero preferito. È venuta a mancare tre settimane prima, mi è sempre stata molto vicina. Le piaceva tanto il calcio: a volte, quando mio padre non poteva venire a Buenos Aires da Mar del Plata (4 ore di macchina), lei veniva da sola e stavamo insieme».
«Vorrei farli anche brutti… Quale mi è piaciuto di più? L’ultimo, al derby. Per come è stato il gol e per l’importanza della partita».
«Lui è con me da quasi due mesi ma lo conoscevo da ancor prima di venire in Italia. Mi allenavo da solo con lui, mi aiuta tanto. Dipende da cosa faccio poi con la squadra, se mi alleno forte in gruppo, magari con lui spingo di meno. Ci alleniamo ogni giorno, se sono stanco faccio quegli esercizi con le luci per allenare i tempi di reazione. Lui è fisioterapista e osteopata, quindi se sento qualcosa sa come trattarmi. L’esercizio con le luci aiuta la rapidità e gli esercizi per la visione periferica. Per questo video delle luci mi stanno ancora prendendo in giro, Angeliño, Paulo… ancora oggi. Nello spogliatoio Dybala mi ha preso in giro a riguardo e mi ha chiesto: “Quando ti è arrivata la palla al derby che cosa hai pensato? 5+2? 7+7? (ride, ndr)”».
«Noi li sentiamo vicini, sono sempre presenti. Vengono ogni tanto anche a Roma, ma sono in qualche modo sempre presenti. Parlano col mister ogni giorno e prendono con lui le decisioni».
«Troppo importante, vive tanto e sente molto il legame con squadra e tifosi. Mi dice sempre di giocare tranquillo e di fare quello che so fare. Lo prendo sempre come esempio, come giocatore e come persona. Stiamo sempre insieme, beviamo sempre il mate: io, Leandro, Angel e Paulo».
«Non lo so, dipende dalla formazione. Però secondo me sì (ride, ndr)».
«Sì, sono più tranquillo io. È venuta anche la mia famiglia dall’Argentina, li ho cercati dopo il gol ma non li trovavo. Sono rimasti senza voce per l’esultanza».
«Sì, ci aiuta sempre. Se gioca o no, come Paulo, è un leader».
«Mi sono spaventato, ho visto lui così e ho pensato “ecco, guarda se non usciamo da tutte le parti” (ride, ndr). Poi sua moglie ha mandato il video alla mia ragazza chiedendole se fosse gelosa».
«Non lo so. La sua idea di gioco era completamente differente dall’idea di De Rossi. Ogni allenatore ha le sue idee, c’è stato un cambio troppo rocambolesco. Dovevamo giocare uomo contro uomo, ma non avevamo tanto tempo per adattarci a quel tipo di gioco».
«Sì, lo sento sempre. L’altro giorno mi ha detto che sarebbe venuto a mangiare a casa mia. Ce lo eravamo detti ma alla fine non lo abbiamo ancora mai fatto».
«Sì, gli ho detto che sarebbe bello se un giorno potessi essere davvero allenato da lui. Lo sono stato ma per pochissimo tempo. Sono venuto grazie a lui, che ha spinto per essere qui».
«Al massimo. In queste ultime due non abbiamo perso, ma abbiamo l’amaro in bocca. Serviva vincere, se pareggiamo ancora non ci serve. Sono state delle partite in cui, ovviamente, abbiamo incontrato squadre forti e che hanno fatto bene. Dobbiamo giocare come se fossero tutte finali, per arrivare in Champions che è il nostro obiettivo».