PianetaSerieB
·15 septembre 2024
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Ci sono storie, nel calcio, alle quali va dedicata una teca differente, con un intarsio più delicato, maggiore attenzione ai dettagli, una cura da mostrare in segno di rispetto e, al contempo, per fare in modo da distillarne il contenuto. Nulla può essere lasciato al caso, nulla deve sfuggire all’analisi, nulla deve essere visto senza attenzione massima. Storie dove bisogna distogliere lo sguardo dal cellulare, abbassare il finestrino e guardare tutto ciò che viene seminato, perché è lì che risiede la speranza che diventa concretezza, il sogno che sa di obiettivo, la caduta che non rimbomba ma è solo parte del cammino. Quest’approccio – nel nostro amato calcio – fa inevitabilmente pensare a Francesco “Ciccio” Caputo. Dalla polvere dei dilettanti alla rugiada della Nazionale, poli di un viaggio che ispira e commuove per tutto ciò che ha rappresentato. Reduce dalla fine dell’esperienza con l’Empoli, l’esperto attaccante è ora alla ricerca di una nuova avventura dove continuare a urlare – con i piedi invece che con la voce – che mai bisogna rinunciare a quella che José Saramago definiva la propria, personalissima, provvista di sogni. Intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni, sono stati diversi i temi trattati.
La separazione tra te e l’Empoli ha fatto senza alcun dubbio rumore e, da quel momento, su di te si è detto e scritto tanto. La domanda è inevitabile: che momento stai vivendo?
“Sarò sincero: dopo una prima fase in cui ho subito la decisione, ora sono in un momento contraddistinto da serenità. Mi sto allenando così da farmi trovare pronto”.
Per la prima volta dopo vent’anni, stai probabilmente avendo modo di ragionare, lontano dalla frenesia che caratterizza la quotidianità. È, questa, anche una fase utile per guardare a tutto ciò che hai fatto nel calcio?
“Come ho detto in altre circostanze, questa fase di distacco dalla quotidianità non rappresenta, per me, la normalità. Spero ancora nella Serie A, dopo tanti anni in questa categoria spero di continuare lì, ma nel caso in cui il mio futuro dovesse essere in cadetteria, prenderei in considerazione una proposta in cui essere protagonista. Non voglio vivacchiare né fare la comparsa, preferisco stare a casa invece che andare da qualche parte per il solo gusto di farlo”.
Ai calciatori spesso viene chiesto un momento decisivo nella propria carriera, ma analizzando il tuo percorso si ha la netta sensazione che il tuo ingrediente magico, oltre al talento, sia stata la continuità indipendentemente dalla categoria. Sei d’accordo nel dire che la differenza tra Caputo e chi non riesce a replicare un simile percorso stia nella resilienza?
“Sicuramente. Non so se capiterà un’altra storia come la mia, perché i giovani di oggi vivono in un mondo completamente ovattato. Vengo da una carriera costruita con determinazione, senza mai mollare in qualsiasi squadra io abbia giocato. La resilienza è stata per me un’arma, ancora oggi la uso per farmi forza. Ripeto, è la prima volta che mi trovo in questa situazione ma non ho timore, paura o fretta, come magari potrebbe succedere ad altri nel momento in cui si resta senza squadra. Voglio sottolineare un concetto: andrò dove punteranno su di me e saranno contenti di avermi con loro, non accetterò nulla per il solo fatto di strappare un contratto”.
A detta di chi scrive, Messi è il sogno, Caputo è sia obiettivo che esempio. È a te che bisogna guardare per comprendere come affrontare le difficoltà del calcio. Sei d’accordo e, soprattutto, averti questo status?
“Sì, lo avverto, non posso negarlo, e me ne rendo conto soprattutto nei giovani tra i dieci e i diciotto anni, perché quando vado in giro tutti mi chiedono foto, autografi e mi dicono di essere un esempio per tutto quello che ho fatto. Penso, nel corso della mia carriera, di essere sempre stato me stesso, senza aver negoziato i miei principi. Chi mi conosce sa come sono fatto, nessuno mi ha mai regalato niente, vado avanti per la mia strada con umiltà, ripudiando ogni genere di compromesso”.
Uno sguardo al futuro: sono quotidiani i rumors su di te, che hai già avuto modo di metterci la faccia e non sviare il discorso. Carnevali, alla domanda su Caputo, ha risposto “può essere”. Il ritorno a Sassuolo è, dunque, una possibilità?
“C’è stato un contatto diretto, ho parlato con il Direttore Sportivo Palmieri, che conosco benissimo. Mi sono sentito anche con Berardi, che mi ha chiamato per sapere quale fosse la situazione. Torniamo al discorso di prima: non ho bisogno di andare a strappare un contratto perché devo rubacchiare soldi, cerco una società, un allenatore e un ambiente che credano in me, perché sto bene fisicamente, anzi forse sto meglio ora che qualche anno fa, dunque voglio divertirmi ed essere protagonista. Se vado in B, devo vincere il campionato e sentirmi pienamente coinvolto nel progetto. Voglio giocare, altrimenti sto anche bene a casa: ho una famiglia stupenda, tre figli, posso stare dietro a loro (ride, ndr), non è un problema”.
Di Bari hai già parlato, sottolineando come tu mai ti sia proposto. Cosa rappresenta per te questa piazza e, in tema mercato, ci sono stati aggiornamenti?
“No, zero. Come ho ribadito poche settimane fa, non mi sono mai proposto e non ci sono assolutamente aggiornamenti. È una strada poco percorribile in questo momento”.
Un’ultima domanda che diventa una curiosità: durante la tua esperienza in quel di Sassuolo, con Roberto De Zerbi in panchina, il vice era Davide Possanzini, oggi allenatore del Mantova. Puoi fornircene un ritratto?
“Con mister Possanzini c’è una grande stima reciproca, ci rispettiamo tanto. A fine campionato scorso ci siamo sentiti, gli ho fatti i complimenti perché ha vinto il campionato in maniera stratosferica, li ho seguiti, hanno giocato un calcio che in Serie C raramente si è visto. Conosco la sua idea di calcio, abbiamo lavorato insieme per due stagioni, i suoi principi si sposano con quelli di De Zerbi, sono convinto che anche in Serie B disputeranno un grandissimo campionato. Sono contento per lui, se lo merita, spero di ricontrarlo sui campi oppure in altre circostanze”.