Calcionews24
·11 de junio de 2025
Pep Guardiola, l’allenatore che non sa tacere: da Gaza alla Catalogna, la coscienza politica di un fuoriclasse

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·11 de junio de 2025
Ci sono allenatori che parlano solo di calcio, e poi c’è Pep Guardiola. L’ultimo, potente capitolo della sua lunga storia di impegno civile e politico è andato in scena ieri, nell’aula magna dell’Università di Manchester. Ricevendo una laurea honoris causa, il tecnico del City ha messo da parte per un attimo il calcio per parlare al cuore e alle coscienze, con la voce rotta dall’emozione, del dramma di Gaza.
«È così doloroso quello che vediamo. Fa male a tutto il corpo», ha dichiarato, allontanando il discorso da ogni schieramento. «Non si tratta di ideologia, non si tratta di dire che ho ragione e tu hai torto. Si tratta solo di amore per la vita».
Le sue parole, cariche di un umanesimo quasi disarmante, rappresentano la sintesi del suo pensiero: l’impossibilità di restare indifferenti. «Il potere di ciascuno di noi non sta nelle dimensioni, ma nella scelta. Nel rifiutarsi di tacere o di restare fermi, in un mondo che ci dice di essere troppo piccoli per fare la differenza». Per Guardiola, quello che accade a migliaia di chilometri di distanza non è un evento lontano, ma una ferita che riguarda tutti. «Forse pensiamo di poter vedere bambini e bambine di quattro anni uccisi da una bomba e pensare che non siano affari nostri. Ma fate attenzione: i prossimi bambini di quattro o cinque anni saranno i nostri».
Questo intervento non è un episodio isolato, ma la coerente prosecuzione di un percorso che lo ha sempre visto in prima linea. La sua battaglia più nota e sentita è senza dubbio quella per l’indipendenza della Catalogna. Guardiola non è stato solo un simpatizzante, ma un vero e proprio megafono della causa. Ha letto manifesti durante le oceaniche manifestazioni di Barcellona, ha prestato il suo volto e la sua voce a video e appelli internazionali, e ha sfidato le regole del calcio inglese indossando platealmente un nastro giallo sulla sua giacca durante le partite del Manchester City, in solidarietà con quelli che ha sempre definito “prigionieri politici” catalani. Per lui, la questione catalana non è mai stata solo separatismo, ma una lotta per i diritti democratici fondamentali: il diritto di votare e di esprimersi liberamente.
Ma il suo impegno non si è mai limitato ai confini della sua terra. Guardiola ha dimostrato una sensibilità costante per le crisi umanitarie globali. Ha sostenuto attivamente organizzazioni come Proactiva Open Arms, che si occupa del salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, criticando aspramente le politiche europee sull’immigrazione. La sua filosofia, espressa chiaramente anche nel discorso su Gaza, è quella dell’interconnessione umana: un’ingiustizia, ovunque avvenga, è un’ingiustizia per tutti.
Naturalmente, questo suo esporsi costantemente non lo ha reso immune da critiche e accuse di contraddizione. Il punto più controverso del suo percorso extra-calcistico rimane il suo ruolo di ambasciatore per la candidatura del Qatar al Mondiale del 2022. Molti commentatori hanno sottolineato l’ipocrisia di un uomo che si batte per i diritti umani e la democrazia mentre promuove un regime autocratico con un pessimo record in materia. Una macchia che Guardiola (ricercato dalla Juve 6 anni fa) non ha mai veramente chiarito fino in fondo, e che dimostra la complessità di un personaggio che, come tutti, non è esente da zone d’ombra.
Ciò che resta, al netto delle singole posizioni e delle inevitabili contraddizioni, è la figura di un intellettuale prestato al calcio, un uomo che usa la sua enorme piattaforma mediatica non solo per parlare di tattica, ma per forzare una riflessione. Che si tratti della Catalogna o di Gaza, Guardiola ha fatto una scelta chiara: quella di non tacere mai. E questo, nel mondo spesso asettico e controllato del calcio moderno, è forse il suo atto politico più rivoluzionario.