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·11 de junio de 2025

Gattuso, poi De Rossi-Cannavaro volata a tre per la panchina

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La Gazzetta Dello Sport (F.Licari) – Dal 2006 al 2026. Conquistare il Mondiale vent’anni dopo la Coppa sarebbe la più meravigliosa delle coincidenze. Dal 2006 al 2026. Calcisticamente una vita, tutti figli di Marcello Lippi, poi cresciuti in un calcio che corre a una velocità sconosciuta al maestro. Fabio Cannavaro, Rino Gattuso e Daniele De Rossi, tre leader di Berlino, oggi allenatori.

Tutti con l’identikit giusto. Uno sarà il successore di Ranieri, pardon, Spalletti. Al momento Rino Gattuso è in vantaggio, nelle ultime ore il distacco sembra aumentato. Sullo sfondo resta Mancini. A meno di nuovi ribaltoni…


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Entro ventiquattr’ore il presidente Gravina sceglierà presto su chi puntare. Ieri il numero del candidati è stato ristretto a quei tre. Le priorità sono: personalità, idee, situazione contrattuale. Gli azzurri di giugno sono apparsi stanchi ma soprattutto scarichi mentalmente e demotivati.

Un Ringhio per la Nazionale. Di Gattuso piace il carattere guerriero, quello mancato all’ultima Italia che non abbondava in tecnica e avrebbe avuto almeno bisogno di grinta. Rino non era un 10, ma combinava la sua forza fisica debordante con una generosità ai limiti dell’umano. Dei tre è anche quello che ha allenato club importanti: Milan, Napoli (con cui ha vinto una Coppa Italia), Siviglia, Marsiglia, infine l’Hajduk. Il calcio delle sue squadre è molto più studiato di quanto si pensi. Nel suo calcio, il sistema non viene al primo posto. «Grinta e cuore sono la base del calcio. Senza voglia, senza anima non si può giocare», dice, spiegando di essere diventato un altro dopo l’esperienza in Spagna: pressing, verticalizzazioni, più tecnica.

Discorso che va benissimo anche per Cannavaro, più scientifico forse nella costruzione tattica di una squadra. Se Gattuso è il guerriero, Cannavaro è il capitano e il simbolo dell’Italia mondiale, quello che solleva la coppa. Come immagine ci siamo anche nel suo caso e in abbondanza. Un po’ s’arrabbia Fabio quando gli dicono che ha guidato soltanto Benevento e Udinese, sottovalutando esperienze a Dubai, in un’Arabia Saudita ante litteram (l’Al Nassr oggi di Pioli e Ronaldo), i sistemi tattici di riferimento sono il 4-3-3, nel quale spesso imposta a tre, e il 3-4-3. «Nel mio calcio non conta il possesso palla, ma l’intensità. Quello di cui parla Klopp: rock and roll, verticale, avanti e indietro. Voi mi pensate difensore, ma io voglio un calcio d’attacco, aggressivo. Ai miei giocatori spiego sempre meglio una corsa in avanti che una dietro».

De Rossi, s’è ritrovato senza squadra dopo poche giornate, la Roma gli ha preferito Juric: pol con Ranieri è andata bene, ma De Rossi meritava più pazienza. Ha alternato diversi sistemi, quello preferito è il 4-2-3-1 ma nella Roma s’è visto anche il 3-4-2-1. Una delle chiavi sono stati gli spostamenti di fascia e di zona che hanno sorpreso i rivali, vedi i quarti di Europa League contro il Milan. Tanta varietà e tanto carattere e carisma. «Sono influenzato da Spalletti, Luis Enrique e Conte, ossessionato dalla vittoria. Vorrei solo che la Roma, alla fine del nostro percorso, fosse riconoscibile come identità di gioco».

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