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·29 de julio de 2025
🥶 Binda lancia l’allarme: “Su quasi 600 calciatori solo in 2 dalla B alla A!”. L’analisi

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·29 de julio de 2025
Nicola Binda, massimo esperto di Serie B, ha analizzato sulla Gazzetta dello Sport una dinamica che, fino a questo momento, si sta verificando nel mercato di Serie A collegato a quello di B: le operazioni tra i due campionati.
Dei 589 giocatori utilizzati nella scorsa B, Isak Vural e Mateus Lusuardi sono gli unici due ad aver effettuato il vero salto in Serie A escludendo i calciatori promossi dalla B alla A e quelli rientrati in club di massima serie. Un numero esiguo che è sufficiente per far suonare l’allarme.
“Isak Vural e Mateus Lusuardi. I nomi non dicono molto, ma sono i Gronchi Rosa dell’ultima Serie B. Tra i 589 giocatori scesi in campo nella scorsa stagione, sono i soli calciatori ad aver fatto un salto vero in Serie A, passando dal Frosinone al Pisa per 7,1 milioni. Mica bruscolini, certo.
Ma a oggi dal piano superiore non sono arrivati altri investimenti in una categoria che della valorizzazione dei giovani ha fatto il suo vanto. Anche per necessità, per la verità. Non è casuale la scelta di distribuire le risorse di diritti tv e mutualità in base ai giovani mandati in campo. Bello, stimolante, formativo. Ma utile a chi?
Lasciamo stare chi è rientrato dai prestiti (Pio Esposito, per esempio) e l’unico che è salito a scadenza di contratto (Bertola all’Udinese, che tra l’altro ha pescato anche un portierino in C, Nunziante). Tutte operazioni che non hanno portato risorse a una categoria che si sta impegnando a trovarne ovunque. Lasciamo stare anche quei giocatori tornati in A dopo essere retrocessi, perché non è stata la B a valorizzarli.
No, quello che conta è tutto quello che la boutique della seconda serie ha messo in vetrina. E che non viene apprezzato.
Mercoledì scorso a Roma c’è stato il forum tra le proprietà della B. Non la classica assemblea tra società, ma un vero confronto tra chi conta. Sul tavolo tanti temi, idee, proposte. L’allarme suona forte: le società faticano a tirare avanti, le risorse sono sempre di meno, il gap dalle piccole di A sempre più evidente. Si cercano soluzioni, nuove forme di reddito e misure per garantire gestioni più bilanciate, dal salary cap in poi.
Benissimo, il confronto tra imprenditori di alto livello sicuramente porterà a soluzioni valide. Eppure il mercato sbatte in faccia una realtà mortificante. A cosa serve far giocare tanti talenti in un campionato così formativo se poi nessuno li guarda? È vero che guadagnano meno e che spesso arrivano in prestito accompagnati da valorizzazioni, ma la finalità di farli giocare dovrebbe essere un’altra.
In una filiera che funziona abbastanza bene, dalla Serie D alla C e poi alla B, manca lo sbocco finale, quello che dovrebbe consentire il salto decisivo ai tanti talenti cresciuti, setacciati, affinati e preparati. E che magari un giorno potrebbero anche far comodo alla Nazionale.
È pure vero che le norme sui trasferimenti sono particolari e differenti, tanto che ai club di Serie A conviene di più andare a spendere all’estero. Per carità. Però rivedendole, e magari mettendosi una mano sulla coscienza, si riaccenderebbe il mercato interno. E si risolverebbe il problema della sostenibilità della B, senza sperare in diritti tv sempre più ridotti o in improbabili rivisitazioni della mutualità.
Pensateci: se ogni società di Serie A ogni anno spendesse almeno un paio di milioni (sempre meno di quello che manda all’estero…) per investire su giocatori di B, sistemerebbe le casse di tanti club. E qualche centinaio di migliaia di euro potrebbe andare anche più sotto, in Serie C.
Magari dopo un draft in stile Nba, con tutte le società riunite per scegliere i talenti migliori emersi nei college, pardon, nelle squadre inferiori. In questo modo le stesse società di B sarebbero ancora più motivate a crescere e lanciare talenti, lavorando più sulla qualità che sulla quantità, sapendo che il loro lavoro non sarà vano e troverà interlocutori interessati.
Invece oggi, dopo aver visto campionati con tanti talenti brillare a destra e sinistra, constatare che alla fine nessuno abbia deciso di puntare su di loro fa tristemente pensare che qualcosa proprio non va.
Gabriele Gravina è tornato a parlare di necessità di una riforma dopo un po’ di silenzio sul tema, ma sa benissimo che non è solo un taglio delle squadre (pur necessario) la soluzione. No, il calcio italiano si riprenderà anche quando il mercato interno tornerà a funzionare, tenendo nel Paese quelle risorse che riesce a produrre e che invece di garantire un’attività serena a una categoria così competitiva continuano ad andare ad arricchire i campionati stranieri”