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·17 June 2024

Napoli, Kvaratskhelia sul passaggio in azzurro: “Tutto merito di mio padre, sull’Europeo..”

Article image:Napoli, Kvaratskhelia sul passaggio in azzurro: “Tutto merito di mio padre, sull’Europeo..”

Nella giornata odierna, a seguito delle parole dell’agente e del padre, è stata pubblicata un’intervista esclusiva di Khvicha Kvaratskhelia con The Players’ Tribune. L’esterno georgiano, attualmente impegno in Euro2024, ha aperto il suo cuore, raccontando della sua vita, della sua carriera e del profondo legame con la sua famiglia e le sue radici.

Napoli, Kvaratskhelia sul passaggio in azzurro: “Tutto merito di mio padre, sull’Europeo..”

Il problema della lingua: “Ragazzi, abbiamo un piccolo problema. Perché vengo dalla Georgia. E ovviamente parlo georgiano. Ma giocavo a calcio in Russia. E ora gioco in Italia. E non solo in Italia, ma a Napoli (la migliore Italia). E ora sto cercando di parlare a persone di tutto il mondo. Sto cercando di praticare il mio inglese. Quindi lo farò in inglese. Il mio inglese? Non perfetto. Ma faccio del mio meglio”


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La passione per la Georgia: “Se chiedi a un georgiano qualsiasi, sia giovane o una vecchia signora chi vincerà l’Europeo, ti risponderà: la Georgia! Il miglior cibo al mondo? Georgiano. La musica migliore? Quella georgiana. Noi georgiani siamo così. Ti potrebbe guardare come se fossi pazzo a chiedere una cosa del genere”.

Dalla Dinamo Tbilisi alla Russia

Raccontando i suoi inizi nel calcio, Kvara ha ricordato: “Quando sono entrato nelle giovanili della Dinamo Tbilisi è stato molto più calcio e meno botte. Perché sapevo che sarei potuto diventare un buon calciatore, seguendo i loro insegnamenti. Però è stato difficile. Come quando sono arrivato in prima squadra e i giocatori più anziani mi guardavano con quell’aria, del tipo: “Oh, ora questo ragazzino gioca con noi?” Ero ancora giovane e nessuno mi conosceva. Avevo 15 anni. Mi dicevano: “Oh, no, non lui”. E io mi sentivo un po’ così… volevo piangere. Forse sono scarso, pensavo. Stavo male, dentro di me. E a quel punto mi sono detto: Fanculo, ora devo dimostrargli che posso essere un buon giocatore. A quel punto la mia mentalità si è fatta forte. Motivazione pura. E mi ha reso migliore”.

La sua esperienza in Russia è stata altrettanto formativa: “Poi sono andato a Mosca. Avevo 17 anni, quasi 18. Ero ancora molto giovane. E vivevo da solo. I miei genitori erano inquieti. Mio padre era molto preoccupato ed è stata dura anche per me. Abitavo al centro tecnico, non avevo amici. Praticamente eravamo solo io e i ragazzi della sicurezza del centro. Era un posto un po’ spaventoso. Non andavo in centro a Mosca. Anzi, non andavo proprio da nessuna parte”.

Il ritorno in patria

Con lo scoppio della guerra in Ucraina, Kvara ha deciso di tornare a casa: “Nel 2022 però è iniziata la guerra in Ucraina. La guerra fa schifo. Viviamo tutti nello stesso mondo, per me nessuno dovrebbe uccidere qualcun altro. È semplice, il mondo dovrebbe vivere in pace. Così ho detto al club che dovevo andarmene. Mi sono trasferito alla Dinamo Batumi, nella migliore nazione del mondo. Tornare a casa è stato bellissimo, molto emozionante. Stadi con tutti che ti guardano. Proprio come accadeva a quei bambini sull’asfalto in mezzo agli edifici. Ma senza le ginocchia sbucciate che sanguinano”.

Il passaggio al Napoli

Il trasferimento al Napoli è stato un sogno diventato realtà, grazie anche all’influenza del padre: “Passare al Napoli è stato tutto merito di mio padre Badri. Il suo idolo era Maradona. Anche mio padre giocava a calcio e da bambino guardavo sempre i suoi video. Mio padre però mi parlava sempre di Maradona, quindi quando il mio agente mi ha detto che il Napoli mi voleva ero felicissimo. Anche per mio padre è stato incredibile: mi disse che non si poteva dire di no al Napoli, al club di Maradona! Quindi non ci ho pensato troppo, non c’è stato dibattito. Lui mi ha detto: “devi andare”. Non riesco a descrivere le emozioni che ho provato. Gli ho detto: “Andiamo! Subito”.

Il primo approccio a Napoli

Raccontando il suo arrivo a Napoli, Kvara ha detto: “Quando sono arrivato la prima cosa che mi hanno chiesto i compagni di squadra è stata: devi cantare, questa è la nostra tradizione! Kim è andato a cantare per primo ed ha cantato Gangnam Style, è stato bellissimo. Io venivo dopo di lui e quindi c’era una grande pressione, quindi ho scelto una canzone che cantavo quando giocavo in Russia al Rubin Kazan. È stato bello, nessuno conosceva la canzone. Poi ho cantato “la,la,la,la”, il ritornello “Live is Life”. Alla fine Mario Rui mi ha svelato che quella canzone a Napoli fu resa famosa da Maradona durante i suoi riscaldamenti allo stadio, ma io giuro che non lo sapevo. Ai tifosi però è piaciuto molto, ma sono stato fortunato”.

Il rapporto con la città e i tifosi

“I primi giorni a Napoli vedo Maradona ovunque. Maradona, Maradona, Maradona. Maradona è il Dio lì. L’ho detto a mio padre. Mi ha detto: “Fammi venire subito a Napoli”. All’inizio andavo in taxi all’allenamento perché non avevo la macchina. E dopo, quando ho visto come guidano, ho detto: “Non posso guidare qui, è impossibile”. Ma quando sono arrivato in albergo… il panorama… oh mio Dio. Era la cosa migliore che avessi mai visto, davvero. Poi esco a passeggiare per la città, e anche i settantenni mi conoscono già. Prima ancora di giocare. La gente mi ferma: “Sei Kvaratskhelia!”, Dico: “Sì, lo sono!”. Sono un ragazzo giovane. Proveniente dalla Dinamo Batumi. E ho un nome difficile. Ma le nonne, i nonni, tutti mi conoscevano già”.

Ha poi aggiunto: “I tifosi del Napoli sono davvero speciali. Nell’anno in cui abbiamo vinto lo scudetto, dopo la partita in trasferta contro la Juventus siamo rientrati all’aeroporto di Napoli e stavamo cercando di tornare a casa con il pullman della squadra, ma i tifosi hanno tirato fuori questi…non so cosa siano…fuochi artificiali, ma tutti colorati. In Italia credo li chiamino fumogeni, bengala. E a quel punto non vedevamo più niente. Anche dentro al pullman, facevamo fatica a respirare. Abbiamo detto all’autista: “Hey, accendi l’aria condizionata”. Ma anche con l’aria condizionata, respiravamo a malapena. Era tutto blu e bianco. E fumo, tanto fumo. Però le persone erano così felici. Una città intera, in festa. Tutti, davvero tutti… Sono davvero molto, molto felice di giocare per il club di Maradona”.

Il sogno europeo

Kvara ha poi condiviso i suoi sogni per l’Europeo: “Essere qui è pazzesco. Sono giovane, ho solo 23 anni. Ma ci sono già stati tanti alti e bassi, nella vita, nel calcio. La mia vita è come le montagne russe, un grande giro velocissimo, spaventoso ma divertente. Quando ero piccolo, d’estate quando non c’era la scuola, andavamo tutti i giorni a giocare a calcio per strada. Bambini ovunque. Facevamo piccoli tornei. Al centro di questi edifici c’era il nostro “stadio”. Ma solo cemento duro. Più tardi, prendiamo il tappeto erboso. Ma all’inizio concreto. Le ginocchia sono tutte rosse quando scendiamo. Molte ginocchia insanguinate. La gente ci osserva dagli edifici. Come i fan. In Georgia la gente ama lo sport. Ma il calcio viene prima di tutto. Sempre prima. Qualsiasi calcio, lo guarderanno. Giochi amichevoli. Bambini in strada. Non importa. Hai una folla che ti guarda”.

“Quando ho incontrato mia moglie dopo la partita, mi ha detto: “Oh, wow. Sei ubriaco? Avevate alcune birre in spogliatoio?” Io ho risposto: “No…sono solo tanto felice, è tutto qui”. Penso che sia stato uno dei giorni più belli della mia vita. Una marea di persone erano ovunque intorno a me, urlando e ballando. Non potevamo nemmeno rientrare in albergo con il pullman, nemmeno la polizia poteva farci nulla. Non abbiamo neanche fatto la doccia, ci siamo solo cambiati la maglietta e siamo andati alla cerimonia con i tifosi. Tutti cantavano e piangevano: lacrime di felicità. Non dimentichi mai più giornate del genere”.

Sul futuro all’Europeo, Kvara ha concluso: “E ora…sì, ovviamente, abbiamo una possibilità. Perché no?!?!? Chi è che dice di no? Giocheremo contro la Turchia. Poi la Repubblica Ceca. E il Portogallo. Sarà difficile? Ovviamente. Sarà dura? Sì. Chiederò a Cristiano Ronaldo di scambiarsi la maglia con me dopo la partita? Forse. Probabilmente. Ok, sì. Perché no? È il mio idolo. E glielo dirò di persona. Ma questo non significa che non possiamo batterli”.

Andrea Alati

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