Calcio e Finanza
·5 January 2025
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Non saranno pochi i nodi che il nuovo presidente della Lega Serie A Ezio Simonelli dovrà affrontare non appena sarà nuovamente a Milano dopo la trasferta in Arabia Saudita per la Supercoppa italiana.
Il primo sarà quello legato al rinnovo delle altre cariche apicali della Lega e nello specifico dell’amministratore delegato. L’assemblea si svolgerà venerdì 10 gennaio e da quanto trapela l’attuale ad Luigi De Siervo pare veleggiare verso una conferma, visto che secondo numerosi club sarebbe un azzardo cambiare entrambi i vertici della Lega contemporaneamente in un momento così delicato per il calcio italiano e internazionale.
Una volta superato questo passaggio, Simonelli dovrà poi lavorare per concretizzare quelle linee guida per le quali l’ex commercialista di Silvio Berlusconi, nonché persona vicina al Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ha avuto la fiducia di 14 società su 20 il 20 dicembre scorso diventando il numero uno del massimo campionato. Visto che Simonelli guiderà la Lega Serie A sino almeno al 2028, in questo lasso di tempo ci saranno diverse sfide in vista, tra le quali le principali sono le seguenti:
Nel contempo Simonelli dovrà guidare una base di associati che molto probabilmente muterà molto di qui alla scadenza del mandato. E non solo per la normale dinamica tra promozioni e retrocessioni, ma perché se c’è una cosa su cui si è certi nella stanza di comando del calcio italiano è che un numero crescente di proprietari sta cercando soci che li possano affiancare nell’azionariato (e soprattutto nelle spese), se non cedere la società per intero.
Entrando nello specifico, lo scorso editoriale si è concentrato sulle sfide economiche delle tre grandi storiche del nostro calcio, Inter, Juventus e Milan, mostrando come in casa bianconera esista, seppur in linea teorica, il pericolo di un nuovo aumento di capitale al termine di questa stagione. Nel contempo a Milano, i proprietari statunitensi di nerazzurri e rossoneri hanno come stella polare della loro gestione economica la costruzione del nuovo stadio, visto che il nuovo impianto è considerato il mezzo migliore per poter uscire nel medio termine dall’investimento con un lauto guadagno. Nello steso tempo però sia Oaktree sia Redbird non disdegnano di tenere lo sguardo aperto verso possibili nuovi soci provenienti dall’estero.
Allargando invece l’orizzonte alle altre squadre, non si può non notare come per la metà dei club di Serie A un mutamento nella composizione dell’azionariato sarebbe uno shock che sorprenderebbe l’intero ambiente. Invece per l’altra metà l’ingresso di nuovi soci (se non di compratori) non stupirebbe proprio nessuno.
Nella prima, quella con presidenti considerati molto solidi sulla poltrona, sono presenti società legate a proprietà familiari o personali quali:
Nella seconda metà sono inclusi invece quei numerosi presidenti di Serie A che stanno cercando qualcuno o che acquisti il club oppure che li possa affiancare quali soci di minoranza. E questi sono:
In questo quadro va subito segnalato che per un club italiano di calcio non è mai un’impresa semplice trovare un socio di minoranza. Questo perché tendenzialmente sono società che, anche se magari non in perdita, non distribuiscono dividendi e non è mai facile convincere qualcuno a entrare in imprese che bruciano soldi (o che non danno cedole ai soci) senza nemmeno poter contare sulle decisioni. A meno che non si prometta loro un percorso a salire per diventare i proprietari del club o un salto di qualità societario quale potrebbe essere la costruzione di un nuovo stadio.
Entrando nello specifico invece i casi di cronaca più vicini in ordine di tempo sono quelli legati a Genoa e Verona. Nel caso di questa seconda società sembrava ormai questione di ore per il passaggio di proprietà del club gialloblù da Maurizio Setti agli americani di Presidio Investors, ma la situazione sembra essere entrata in una fase di stallo: solo due settimane fa l’accordo sembrava imminente, con le firme attese per il trasferimento delle quote societarie. Tuttavia, da allora, il processo si è rallentato, lasciando la trattativa in una fase di stallo, con la palla nelle mani dell’attuale patron.
In casa Genoa invece l’ingresso nel capitale di un nuovo socio in qualità di azionista di maggioranza è avvenuto il 18 dicembre scorso per opera dell’imprenditore rumeno Dan Sucu. Questo però non esclude ulteriori novità, visto che è stato lo stesso nuovo azionista di maggioranza ad annunciare il possibile ingresso di nuovi soci rumeni nel Grifone nelle persone dei fratelli Paval e Florin Talpes.
Sucu d’altronde dispone di un patrimonio stimato da Forbes in circa 300 milioni di euro e se questo è un patrimonio che la stragrande maggioranza della popolazione sarebbe contentissima di avere a disposizione, non appare un grande cuscino di liquidità per chi invece punta a gestire un club di Serie A. Stuzzicante invece l’idea di sfruttare al meglio la conoscenza dei mercati est europei, Paesi nei quali si possono concludere ancora grandi affari a costi relativamente contenuti. Basti pensare all’opera di Igli Tare quando era dirigente della Lazio o a quella di Pantaleo Corvino nella varie società in cui ha operato.
Anche a Empoli e a Monza la possibilità di ingresso di nuovo soci è più o meno ufficiale. Nel caso del club toscano è stata la stessa vicepresidente e amministratore delegato Rebecca Corsi a spiegare lo stato delle cose. «Nuovi soci? Ci sono state alcune manifestazioni d’interesse. Qualcosa è andato oltre semplici chiacchiere. L’obiettivo è dare un futuro solido all’Empoli e ogni scelta andrà in questa direzione». La famiglia Corsi ha dato tantissimo al club empolese e ora vorrebbe regalargli anche un nuovo impianto. Ed è per questo che è alla ricerca di investitori che la possano affiancare nell’azionariato della società. Non caso il discorso nuovi soci va di pari passo con quello sullo stadio. «Sul nuovo impianto abbiamo lavorato per farci trovare pronti, incontrato i soggetti e i partner che ci sosterranno in questa operazione», ha proseguito la Corsi, «però siamo bloccati sulla parte del percorso partecipativo, abbiamo ascoltato i cittadini e anche in base a quello rimoduleremo il progetto. A gennaio ci sarà la conferenza dei servizi e se non ci saranno critiche, potremo poi ipotizzare un programma. La speranza è che possa partire in estate».
Per il Monza invece sono sufficienti le parole di Pier Silvio Berlusconi prima di Natale. «La nostra volontà (della famiglia Berlusconi, ndr) è quella di trovare qualcuno che voglia far crescere il Monza come noi vorremmo», ha spiegato il figlio di Silvio Berlusconi. «Noi facciamo un altro mestiere e il calcio è ormai un mondo folle. Per il resto, non ho molto altro da aggiungere». Nei mesi precedenti si era vociferato di una offerta da parte della Gamco Investors dell’imprenditore americano Mario Gabelli. Poi però l’amministratore delegato Adriano Galliani ha spiegato che una proposta ufficiale, dopo una prima manifestazione di interesse, non era mai giunta alla società monzese.
A Venezia e Lecce invece al momento non ci sono avvisaglie di cambiamenti, ma visto i due tipi di proprietà (imprenditori USA in laguna e una cordata di industriali locali in Salento) non è escludibile a priori l’ingresso di nuovo soci, se non altro per dare sostegno.
È chiaro in questo quadro che i casi più eclatanti, per quanto diversi tra loro, siano quelli di Torino e Roma. In casa granata dopo le indiscrezioni su una possibile cessione e le smentite del presidente Urbano Cairo, è stato lo stesso patron a La Stampa a lasciarsi sfuggire la frase: «Non scommetterei un euro sul fatto di essere il presidente del Torino tra un anno». Segno evidente che il tema della cessione non solo esiste, ma potrebbe essere non tanto lontano.
Non a caso anche le istituzioni locali, come ad esempio il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, hanno iniziato a sondare il patron granata su quali siano le intenzioni per il club, anche per risolvere le eventuali questioni legate allo stadio.
D’altronde 20 anni fa, quando divenne il 30º presidente del Torino salvando nei fatti la società, Cairo era un imprenditore in rampa di lancio ma non ancora notissimo. E diventare padrone dei granata era anche un modo per essere introdotto con tutti i titoli di merito nel salotto dell’establishment industriale italiano.
Ora, due decenni dopo, questo bisogno Cairo non lo ha più. Soprattutto dopo che nel 2013 è diventato proprietario anche di La7 e nel 2014 anche del maggior gruppo editoriale italiano, ovvero la Rizzoli Corriere della Sera, società che tra gli altri edita Il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport.
Anzi, semmai oggi è vero il contrario: essere proprietario di una società che naviga a centro classifica senza quasi mai un sussulto ed essere il bersaglio del malcontento crescente dei tifosi non può che offuscare l’immagine di Cairo. Pertanto la vendita potrebbe essere la soluzione migliore.
È ovvio però che se qualcuno si farà avanti (le indiscrezioni hanno parlato del colosso delle bibite analcoliche RedBull e di fondi arabi e statunitensi) molto dipenderà dal prezzo. E Cairo su queste cose è persona che sa tenere molto bene il punto, sempre che la tensione coi tifosi non diventi insostenibile.
Nella Capitale invece il discorso è diverso. I Friedkin hanno sinora investito qualcosa come 900 milioni nel club giallorosso e almeno a parola stanno procedendo spediti verso il piano del nuovo stadio a Pietralata. Appare quindi difficile una dismissione dal club a patto che non giunga un’offerta veramente importante.
Non va però scordato che la famiglia texana è diventata nelle scorse settimane anche proprietaria dell’Everton in Inghilterra. E se è vero che ufficialmente il piano dei Friedkin prevede che il club giallorosso prosegua a essere il centro gravitazionale degli investimenti della dinastia nel calcio (oltre all’Everton il portafoglio vede anche la presenza del Cannes nella quarta divisione francese), è nel contempo vero anche che Roma ed Everton sono simili per percezione e brand e quindi non appare fuori luogo domanda su quale club, al di là delle dichiarazioni ufficiali, potrà essere quello trainante. Perché entrambi i club presentano punti di forza e di debolezza nei confronti dell’altro.
Nell’ultima stagione confrontabile (l’Everton non ha ancora depositato il bilancio al 30 giugno 2024), l’analisi dei rispettivi fatturati dice che quello della Roma è il 24° a livello europeo (215 milioni) e quello dei Toffees di Liverpool il 30° (198 milioni). Ma di diverso c’è la tendenza: quello giallorosso ha vissuto un trend di crescita legato al percorso europeo (finale di Europa League e continui pienoni all’Olimpico), mentre quello dell’Everton è stagnante da un po’, anzi in calo.
Ed è proprio per questo che il dossier Everton era finito sulla scrivania di molti investitori. Il club era ritenuto sotto rendimento, rispetto al suo potenziale che a breve sarà alzato dal nuovo stadio, visto che nel 2025 si completerà il trasloco dallo storico Goodison Park al nuovo Everton Stadium, situato sul molo del Bramley-Moore Dock. Un gioiello da 52mila posti costato più o meno un miliardo che è già selezionato per l’Europeo del 2028 (che si terrà nel Regno Unito) a scapito di quello di Anfield del Liverpool.
Inoltre, a giocare pro Everton c’è il fattore Premier League (sempre che i Blues mantengano la massima serie in questa stagione). Per dare un’idea si noti che i club del maggior torneo britannico nel 2022/23 hanno generato ricavi per 8,1 miliardi di euro, contro i 3,5 miliardi della Serie A. E soprattutto garantisce enormi risorse dai diritti tv. Basti pensare che il club inglese incassa da questo canale più del doppio rispetto alla Roma: 140,9 milioni contro 68,1 milioni.
Sull’altro lato, a spingere le quotazioni del club giallorosso vi sono altri elementi:
Più discutibile invece è la questione su chi abbia più blasone. Perché se la Roma ha ottenuto due semifinali e due finali europee nelle ultime quattro stagioni (vincendo la Conference League nel 2022), è anche vero che il club giallorosso ha nel suo palmares “solo” tre scudetti (l’ultimo nel 2000-01) e una Coppa delle Fiere nel lontanissimo 1960-61. Invece, nella sua storia l’Everton ha vinto nove volte il massimo campionato inglese (anche se gli ultimi successi sono avvenuti nel 1984-85 e nel 1986-87) oltre alla Coppa delle Coppe nel 1984/85.
Nei fatti quindi se la Roma porta nel suo nome un brand mondiale unico, l’Everton ne ha uno storico da spolverare, almeno nel calcio. E, cosa non meno importante, ha un potenziale di incassi superiori a quelli dei capitolini. Pertanto, è facile ipotizzare come con il nuovo stadio, il fatturato dei Toffees possa crescere in maniera sostanziale, lasciandosi alle spalle quello della società italiana. Inoltre, come è arcinoto, in Italia, visti i ricorsi di qualche comitato sempre presente e cavilli burocratici interminabili, gli stadi non sono così semplici da costruire e quindi al momento, al di là dello sbandierato ottimismo, non è sicuro per nulla che il piano su Pietralata alla fine andrà in porto.
Insomma anche qui non si stupirebbe nessuno se prima o poi dovesse esserci l’ingresso in società di un azionista di minoranza (se non di un compratore), probabilmente non italiano ma internazionale.