Inter News 24
·16 June 2025
Maicon benedice Chivu: «Risolleverà l’Inter. Non è timido, ricordo discorsi bellissimi alla squadra. Il difetto…»

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·16 June 2025
La scelta dell‘Inter di affidare la panchina a Cristian Chivu dopo l’addio di Simone Inzaghi ha trovato un sostenitore d’eccezione. A promuovere a pieni voti il nuovo allenatore è una vera leggenda del Triplete, Maicon, ex compagno di squadra e amico fraterno del tecnico rumeno. In un’intervista concessa a La Gazzetta dello Sport, il “Colosso” brasiliano ha espresso tutto il suo appoggio per Chivu, definendolo la scelta perfetta per guidare la squadra in un momento psicologicamente delicato e per iniziare un nuovo ciclo vincente a partire dal Mondiale per club.
«Cristian è più di un amico, è un fratello per la vita e ha tutto il mio appoggio in questa avventura che merita». Maicon, ma è Chivu l’uomo giusto?«Giustissimo. Io sono di parte per tutto quello che abbiamo vissuto insieme e non posso che augurargli il meglio, ma penso davvero che abbia le doti umane e professionali per iniziare un nuovo percorso vincente. Certamente, davanti ha un lavoro durissimo, non è facile perché il dolore dopo la finale di Champions è enorme. Io ne so qualcosa perché sono passato dal 7-1 con la Germania in un Mondiale in casa… Ma se c’è una persona che sa come rialzarsi nelle difficoltà, quella è Cristian Chivu».
Ai tempi in cui giocavate insieme, pensava che avrebbe potuto fare l’allenatore?«Sì, lui come Cambiasso e Thiago Motta vedeva il gioco in maniera diversa, sapeva leggere i momenti, pensava già da tecnico. E si faceva sentire quando serviva: non è timido come potrebbe sembrare, sa alzare la voce e anche divertirsi quando serve. Ad esempio, ricordo dei bellissimi discorsi alla squadra: immagino che li farà adesso ai suoi nuovi giocatori. Li colpirà al cuore con poche parole».
Se dovesse dire la sua principale dote e il suo principale difetto?«Il difetto… chiedetelo alla moglie. Il pregio è che è leale, una cosa che qualsiasi giocatore vorrebbe dal proprio allenatore. Dice le cose come stanno, senza girarci attorno, anche arrabbiandosi se serve: in uno spogliatoio bisogna andare dritti al cuore dei problemi».
Ma 13 panchine di A non sono troppo poche per avere un impegno così grande?«Intanto, a Parma ha fatto molto bene, ma poi pensate davvero che a Chivu manchi esperienza? Con gli spogliatoi che ha frequentato, le battaglie che ha vinto e perso, i grandi allenatori che ha conosciuto? Da Mou, ad esempio, ha imparato come gestire un gruppo di alto livello, una cosa che serve particolarmente in questo momento in cui la componente psicologica è importantissima dopo la botta presa. Per me l’esperienza a certi livelli non esiste, esiste un percorso da compiere insieme ai giocatori, giorno dopo giorno».
Si ricorda di un particolare episodio condiviso in carriera?«Me lo ricordo a Barcellona a fare l’ala, ma quella volta, diciamo così, era un po’ particolare… C’ero a Verona nel giorno del terribile infortunio alla testa: uno che come lui torna così in fretta non ha paura di niente. Ha le spalle larghe anche per fare l’allenatore dell’Inter. Ma se devo scegliere un momento, il suo gol dopo l’operazione, quando ha alzato il caschetto al cielo: non era una semplice rete, per lui e per tutti noi che gli siamo stati vicini».
Ma lei si è spiegato cosa è successo a Monaco?«La stanchezza è arrivata tutta insieme e, forse, si è sentito tanto l’evento, senza contare che il Psg ha giocato una partita praticamente perfetta. Ma la stagione è stata comunque straordinaria: tutte le squadre pagherebbero per stare dove è arrivata questa Inter. Conta essere lì a giocartela e poi, come nella vita, può andare bene o male. Poteva essere Triplete e, invece, non si è vinto neanche un trofeo, ma solo applausi per questi ragazzi. Poteva succedere anche a noi nel 2010, José ce lo aveva detto chiaramente prima della finale di Coppa Italia: potevamo non vincere niente oppure fare la storia. Ci è andata bene, ma la differenza è stata solo in certi dettagli».
Adesso cosa dovrà fare Chivu per andare oltre lo shock?«Il Mondiale per club è una grande occasione, una manifestazione bellissima che avrei voluto giocare pure io. Bisogna ricostruire il morale e trovare nuove motivazioni, perché la squadra era ed è fortissima: non sarà il 5-0 a cambiare questa realtà. Campioni come Lautaro e tutti i suoi compagni hanno l’orgoglio per reagire: faranno bene, indipendentemente da quanto si andrà avanti nella manifestazione della Fifa. Vincere il trofeo è un sogno, ma bisogna prima di tutto mostrare al mondo che l’Inter non è quella di Monaco, ma quella che ha eliminato Bayern e Barcellona».
Rispetto a quella partita c’è un suo connazionale appena arrivato: ci presenta Luis Henrique? «Si aggiunge a destra a Dumfries, che è stato devastante nell’ultimo anno: è un giocatore cresciuto a livello incredibile. Di Luis vi posso dire che è… un brasiliano e non solo per il look e i capelli: porta dribbling, fantasia, imprevedibilità. Salta sempre l’uomo, ma deve capire che in Italia è diverso e bisogna difendere sul serio. L’esempio ce l’ha in un altro nostro connazionale: Carlos Augusto è fortissimo, anche se a vederlo così sembra più svizzero o tedesco».