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·21 May 2025
Greatti racconta il Cagliari dello Scudetto: «Riva ed io eravamo fratelli, ma avremmo potuto vincere di più. C’è una cosa che finì male»

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·21 May 2025
Ricciotti “Riccio” Greatti, classe 1939, friulano di Basiliano ma cagliaritano d’adozione, è stato il numero 10, la mente illuminata, del Cagliari che nel 1970 conquistò uno storico Scudetto. Oggi, come riportato nell’intervista a La Gazzetta dello Sport del 21 maggio 2025, vive ancora a Cagliari, gestendo la sua agenzia di assicurazioni, e ricorda con lucidità e passione un’epoca irripetibile del calcio italiano e sardo. Un’epopea fatta di amicizia fraterna, allenamenti supplementari e anche qualche episodio controverso.
GLI INIZI E L’ARRIVO A CAGLIARI – «Da ragazzo facevo l’attaccante e segnavo tanto. Nasco attaccante puro, seconda punta. I primi passi li ho mossi lì, vicino a casa, a Spilimbergo. A 17 anni andai a Firenze. Ero un ruspante, ma alla cultura ci tenevo. Giocavo per pura passione, ma studiavo pure. Ho debuttato in A, poi ho fatto le esperienze al Palermo, breve, e alla Reggiana, dove rimasi tre anni. Nel 1963 il Cagliari versa 32 milioni di lire alla Reggiana e la porta in Sardegna. Arrivammo io, Gigi Riva e Renzo Cappellaro, un centravanti che doveva essere il titolare, era stato capocannoniere della B. Aveva il 9. Infatti Riva, che aveva l’11, per quattro domeniche fece la riserva. Eravamo tutti attaccanti fortissimi, ma con quel due mi adattai in… spostandomi a centrocampo. L’imbecille sono stato io. E abbiamo fatto la storia».
IL RAPPORTO CON GIGI RIVA – «Eravamo fratelli. Due persone simili. Riservate. Abbiamo giocato sempre insieme a Cagliari. Eravamo ambiziosi. E ogni sera ci fermavamo all’Amsicora a tirare, a calciare, fare cross. Noi e il portiere Reginato. Il custode Contardo verso le sette e mezzo veniva a dirci che aveva moglie e figli e doveva cenare. E noi lì… Non volevamo andar via. Poi tornavamo in foresteria. Io dormivo, loro giocavano a carte, fumavano, fino alle 2, le 3 del mattino. Gigi rompeva con le carte. Arrivava anche la polizia».
LO SCUDETTO DEL 1970 – «Pensi che, dopo il trionfo, dall’ultima trasferta a Torino atterrammo a Decimomannu perché a Elmas c’era troppa gente. Una roba da film. Eravamo fortissimi. La palla l’avevamo sempre noi, non ricordo sconfitte in casa. Gli avversari ci temevano. Era un gruppo tosto e unito. Chi non si inseriva veniva redarguito. Ho sempre avuto un carattere forte, qualcuno per il “cravattino” l’ho preso e qualche ceffone l’ho dato. In campo ero fastidioso perché volevo sempre vincere».
LO SCUDETTO “FREGATO” DEL 1969 E L’ARBITRO LO BELLO – «Sicuramente avremmo vinto di più senza l’infortunio di Riva. Ricordi sempre che uno scudetto, quello del 1969, ce lo hanno fregato. A Concetto Lo Bello strappai la giacchetta nera».
LA NAZIONALE E I MOSTRI SACRI – «Avevo davanti Mazzola e Rivera. Proprio per questo. Loro due. Chi li muoveva da lì? Mazzola più fisico, Rivera più tecnico. Bravissimi entrambi. Il ct Valcareggi mi diceva “Che faccio?”. Sono stati però avversari leali, che quando ci dovevano incontrare in campo prima del via ci dicevano: “Oggi con voi è dura, eh”».
IL LEGAME CON CAGLIARI E LA SARDEGNA – «Non esiste un popolo così. Mi sono innamorato di una donna speciale. Ho trovato dei fratelli. Persone che sono un po’ come i friulani. Amo tutto di Cagliari: la gente, la città, il Poetto, il Margine Rosso dove ho una villa».«Il presidente Arrica mi vendette al Vicenza. Voleva fare l’affare. Rifiutai. Avevo ancora tre anni di contratto. Andai nel suo ufficio per dargli un cazzotto. Gigi disse: “Io rimango”. E noi: “Rimaniamo tutti”. Era lui il nostro trascinatore».
IL POST-CARRIERA E IL CAGLIARI DI OGGI – «Presi Reginato con me, in ritiro era il compagno di camera. Non si è mai staccato da me. Facemmo il boom [con l’agenzia di assicurazioni]. La gente si metteva nelle scale per aspettarmi e sottoscrivere il contratto di assicurazione. Io arrivavo e mettevo la firma. Alle partite del Cagliari non vado, soffro troppo. In tv guardo dei pezzettini. Dico che lottare sempre per non retrocedere non va bene. Mi è piaciuto Claudio Ranieri, che ho ritrovato. Apprezzo Pavoletti, mi sembra intelligente, bravo, onesto, un grande uomo. Merita Cagliari, di cui è l’ultimo vero simbolo».