Calcionews24
·12 June 2025
Ct Nazionale, ecco perché il Mancini-bis non è un azzardo: ha già compiuto un miracolo e il gruppo è con lui. Le 3 ragioni che lo riporterebbero alla guida degli azzurri

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·12 June 2025
In un’Italia del calcio smarrita, che si aggrappa con disperazione a un Mondiale già in salita, il dibattito sul futuro commissario tecnico infiamma la nazione. Mentre si valutano nuovi progetti e si negozia con guerrieri come Gattuso, il fantasma di un grande ex si fa sempre più concreto, alimentato da un’intervista che sa di “mea culpa“ e di nostalgia. Il ritorno di Roberto Mancini, da suggestione a ipotesi, poggia su fondamenta solide che vanno oltre il semplice ricordo del trionfo europeo. È una candidatura che si regge su tre pilastri, tre ragioni forti che trovano sponda nel pensiero di alcuni dei più grandi maestri del nostro calcio.
La prima, e forse più importante, ragione è una garanzia certificata: Mancini ha già dimostrato di saper compiere miracoli. Persino un profeta del calcio come Arrigo Sacchi, da sempre sostenitore del bel gioco e della forza del collettivo, ha recentemente avallato l’idea di una seconda chance per il tecnico di Jesi. E non è un caso. Sacchi, meglio di chiunque altro, sa riconoscere chi è in grado di costruire un progetto vincente partendo dalle macerie. Mancini, nel 2018, ereditò una Nazionale psicologicamente a pezzi, reduce dalla più grande umiliazione della sua storia moderna. In meno di tre anni, non solo l’ha portata sul tetto d’Europa, ma l’ha fatto attraverso un’identità di gioco precisa, coraggiosa e spettacolare. Ha trasformato un gruppo di buoni giocatori in una macchina perfetta, detentrice di un record di imbattibilità storico. In un momento di crisi profonda come quello attuale, affidarsi a chi ha già dimostrato di saper trasformare il piombo in oro non è un azzardo, ma un investimento sulla più solida delle certezze.
C’è poi una motivazione che esula dalla tattica e affonda le radici nell’anima: la redenzione. Anche se sta lavorando per portare in azzurro Rino Gattuso, chi meglio di una leggenda come Gigi Buffon, che ha vissuto sulla propria pelle il peso della maglia azzurra e l’ossessione per il Mondiale, potrebbe comprendere la forza di una simile spinta interiore? Il ritorno di Mancini non sarebbe un semplice re-incarico professionale. Sarebbe una missione personale. Le sue recenti dichiarazioni sono state una pubblica ammissione di colpa, il riconoscimento di un errore – quello di non aver chiarito con la Federazione – che lo tormenta. Ha parlato esplicitamente di un «debito con i tifosi», quello di provare a vincere un Mondiale. Questa fame, questo fuoco interiore di chi si sente in dovere di riparare a uno strappo e completare un’opera lasciata a metà, potrebbe essere il carburante più potente per rianimare un ambiente depresso. Non si tratterebbe di allenare, ma di combattere per un’eredità.
Infine, c’è una ragione prettamente pragmatica, una di quelle che un vincente seriale come Fabio Capello coglie: la continuità e la leadership riconosciuta. In situazioni di emergenza, quando il tempo per costruire è zero e bisogna solo vincere, il legame tra l’allenatore e lo spogliatoio vale più di qualsiasi schema. Mancini questo legame ce l’ha già. Il nucleo della Nazionale è ancora composto in larga parte dagli eroi di Wembley, giocatori con cui ha un rapporto diretto, quasi paterno. Non avrebbe bisogno di mesi per guadagnarsi la fiducia del gruppo, dovrebbe solo riaccendere una fiamma mai del tutto spenta. In una corsa contro il tempo come quella per la qualificazione al Mondiale 2026, partire con il vantaggio di uno spogliatoio che già crede ciecamente nel proprio comandante non è un dettaglio, ma un asset strategico dal valore inestimabile. Visione, motivazione personale e leadership consolidata. Tre ragioni che, sommate, trasformano l’ipotesi del “Mancini-bis” da un nostalgico sogno estivo a un progetto sportivo con una sua logica stringente e affascinante.