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·19 September 2024
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Corriere della Sera (L. Valdiserri) – Nessuno può credere che passare in otto mesi da José Mourinho a Ivan Juric sia un upgrade. Non lo pensa neppure Juric, uomo pratico e ruvido, che non ci ha pensato un momento a buttarsi comunque sulla panchina della Roma, sottratta a Daniele De Rossi che ieri mattina stava per scendere in campo ad allenare la squadra. Al di là dei risultati – una sola vittoria nelle ultime 11 partite – De Rossi paga però tre cose: la perdita di feeling con la Ceo Lina Souloukou; il caso-Dybala che ha sconvolto il mercato e lo ha costretto a cambiare l’idea di giocare con il 4-3-3; il modus operandi dei Friedkin, che si fidano ciecamente dei report fatti dai dirigenti che hanno messo a capo del club.
Non ci sono stati litigi splatter, ma le incomprensioni si sono sedimentate. De Rossi lascia da signore, come aveva fatto a Marassi, dove non si era lamentato di un rigore clamoroso non fischiato ai danni di Dybala. La domanda numero uno sulla formazione riguarda Dybala, che deve giocare 14 partite per vedere rinnovato il suo contratto – con aumento dell’ingaggio – anche per la prossima stagione. Cosa farà Juric? Di sicuro è stato preso per valorizzare soprattutto gli investimenti fatti sul mercato e creare possibili plusvalenze. Con questa mossa fragorosa, i Friedkin tagliano una volta per tutte il cordone ombelicale tra i tifosi della Roma e la storia della loro squadra. Il licenziamento di De Rossi (616 partite e 63 gol in maglia giallorossa) è il fallimento di un progetto solo presunto che coinvolgeva Capitan Futuro. Adesso fanno ancora più rumore le parole di Francesco Totti, pochi giorni fa, che parlavano dell’amico De Rossi come “parafulmine” per l’esonero di Mourinho. La parola passa al campo, non ai sentimenti.