Milannews24
·12. Juni 2025
Modric, il nostro fantasma gentile: una storia di classe, rigori sbagliati e un conto da saldare

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«Stasera, seguite bene il Piccoletto». A volte, le storie più grandi iniziano con un sussurro, un consiglio quasi carbonaro. Quella sera a Livorno, 16 agosto 2006, il suggerimento arrivò dalla fonte più autorevole, Zvonimir Boban, che con un sorriso complice ci invitò ad assistere a una rivelazione. L’Italia, ancora ebbra dalla trionfale notte di Berlino, si presentava con un nuovo ct, Donadoni, e una formazione sperimentale, quasi distratta. Il “Piccoletto”, invece, era un ventenne di nome Luka Modric, un biondino della Dinamo Zagabria di cui si sapeva poco o nulla, ma che Boban sapeva essere in piena fase di deflagrazione e prossimo colpo del calciomercato Milan.
E Zvone non fu smentito. Quel ragazzo sembrava muoversi su una partitura tutta sua, un «biondino in perenne movimento, con la luce in testa e la grazia nelle scarpe«, per dirla con le parole di Luigi Garlando oggi in prima pagina su La Gazzetta dello Sport. Ipnotizzò il centrocampo azzurro e firmò persino il 2-0, con un tap-in che fu il suo primo, profetico, gol in nazionale. Un sigillo del destino, impresso proprio nella città di Massimiliano Allegri.Da quella serata livornese, la storia di Modric è diventata leggenda: le sei Champions, il Pallone d’Oro, il dominio decennale con il Real Madrid. Ma il suo rapporto con l’Italia e la sua Nazionale è rimasto quello di un amore tormentato, di un duello infinito tra la sua classe e il nostro pragmatismo. L’Italia è diventata il suo fantasma gentile, la sua dolce condanna.
Dopo la profezia di Livorno, sono arrivati i pareggi beffardi. L’1-1 agli Europei del 2012. I due 1-1 nelle qualificazioni per Euro 2016, con un rigore che Gigi Buffon, a Spalato, gli respinse come a volergli dire: «Non qui, non contro di me». Una maledizione che si è trascinata fino alla notte più incredibile, quella di Lipsia, a Euro 2024. Ancora un rigore, questa volta contro Donnarumma. Ancora un duello con un portiere italiano, ancora un errore dal dischetto. Sembrava la fine. Ma il Piccoletto, con la rabbia dei fuoriclasse, si avventò sulla respinta per segnare il gol del vantaggio, un urlo che sembrava aver finalmente spezzato l’incantesimo. Sembrava. Perché al 98′, la spada di Zaccagni trafisse la Croazia e il cuore di Luka, in una beffa atroce che è la sintesi perfetta del suo rapporto con noi.
Ora, diciannove anni dopo quella prima apparizione, il cerchio si chiude. Il Piccoletto, a 39 anni, sbarca in Italia, proprio alla corte di quell’Allegri livornese. Arriva per essere, come fu Zlatan per Pioli, il maestro che educa lo spogliatoio a una nuova cultura del lavoro. Arriva in un campionato che lo ha sempre visto come un avversario magnifico e sfortunato. Arriva, forse, per saldare un conto con il destino. Perché, come ha scritto Garlando, «il Piccoletto di Livorno ha ancora luce e grazia da offrire», ma forse ha anche un ultimo, personalissimo, duello da vincere.