Inter News 24
·2. September 2025
Garlando: «Inter, hai perso l’anima! Troppo giocatori normali, invece avrebbe dovuto impazzire di genio com’erano i 4 giocatori idoli di Massimo Moratti»

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·2. September 2025
Un’Inter senza più poeti, una squadra che ha smarrito la sua anima artistica e si è rifugiata nella noia di una “catena di montaggio”. Nell’editoriale per La Gazzetta dello Sport, Luigi Garlando lancia un accorato e nostalgico j’accuse, partendo da una vecchia intervista di Massimo Moratti per mettere a nudo i limiti di una squadra che, a suo dire, ha tradito la sua storia. L’ex presidente, ricorda Garlando, indicò i suoi quattro giocatori del cuore non nei più forti, ma nei più emozionanti: «Lennart Skoglund, Mario Corso, Evaristo Beccalossi e Alvaro Recoba. Per me rappresentano il sogno realizzato di chi ama il calcio». Poeti mancini, artisti del dribbling e della giocata folle, l’essenza di un club «nato in una taverna di artisti».Questa romantica premessa serve a Garlando per descrivere, per contrasto, la sterilità dell’Inter di oggi, quella vista contro l’Udinese. Una squadra che «catapultava cross con la ripetitività e la noia di una catena di montaggio, in un’area friulana zeppa di corazzieri del Quirinale». Un muro che, secondo l’editorialista, non si scavalca con la forza, ma con la fantasia, con «una foglia morta di Mariolino» o «una mandrakata di Nacka». Il problema è che, oggi, all’Inter mancano questi artisti. Dopo aver solo sfiorato Lookman, il club ha rinunciato a cercare un profilo simile, commettendo, secondo Garlando, un grave «errore».La critica è profonda e strategica. Dopo l’era di Inzaghi e delle sue «linee di gioco razionali», serviva una sterzata decisa. Invece di cercare un’impossibile normalità, l’Inter avrebbe dovuto fare il contrario: «impazzire di genio. E riconnettersi alla sua storia». Con nuove idee, un nuovo allenatore e nuovi giovani talenti, il club avrebbe dovuto ritrovare quella vena di follia creativa che ha sempre contraddistinto i suoi eroi più amati. Invece, si ritrova a giocare un calcio prevedibile, senza quel lampo di genio capace di trasformare una partita in un’opera d’arte.