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·6. Mai 2025
Dybala e l’amore per Roma: “Qui è qualcosa di unico, impossibile da replicare altrove”

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·6. Mai 2025
Paulo Dybala continua a sentirsi sempre più legato a Roma, non solo come squadra ma come città e ambiente umano. L’attaccante argentino, protagonista indiscusso in giallorosso, ha parlato del suo rapporto con la Capitale in una lunga intervista concessa a Sports Illustrated, sottolineando quanto l’affetto ricevuto dai tifosi romanisti sia qualcosa di speciale.
“La presentazione al Colosseo Quadrato è stata una delle poche volte nella mia vita in cui le gambe mi tremavano un po’”, ha raccontato Dybala, ricordando uno dei momenti più iconici del suo arrivo alla Roma. “L’amore che ricevo qui non è replicabile”, ha aggiunto, evidenziando come il calore e la passione del popolo giallorosso lo abbiano colpito profondamente fin dal primo giorno. Parole che confermano, ancora una volta, il forte legame tra la Joya e la città che lo ha accolto come un re. Ecco l’intervista completa:
Sulla finale dei Mondiali con l’Argentina.
“Sapevo che Scaloni mi aveva mandato in campo solo per calciare il rigore. La pressione era immensa, perché o sei un eroe o un cattivo e se sbagli, tutti ti ricorderanno per aver giocato due minuti e aver sbagliato il rigore”.
La sua avventura in Qatar non è iniziata a novembre con la prima partita dell’Argentina, ma due mesi prima, mentre si stava riprendendo da un infortunio al bicipite femorale.
“Ero alle prese con un infortunio e mi mancavano cinque partite. Non volevo sprecare un solo giorno senza poter recuperare. Così, quando ho saputo l’entità del mio infortunio, ho parlato con le persone che lavoravano con me. Abbiamo formato un gruppo e ci siamo detti che dovevamo trovare un modo per recuperare il più velocemente possibile. Intendo quali macchinari andavano utilizzati usare, che dieta seguire? Abbiamo lavorato su tutto. Dormivo con un macchinario per essere pronto e ne avevo quattro a casa. Li usavo quotidianamente”.
Tuttavia, non sapeva che avrebbe fatto parte della squadra definitiva fino a pochi giorni prima dell’inizio del torneo.
“Ci stavamo allenando negli Emirati Arabi Uniti e ricordo che l’allenatore fece un discorso dicendo che avrebbe personalmente informato tre giocatori che non sarebbero stati inclusi nella lista finale perché avrebbe dovuto prendere solo 26 giocatori. Quando quel discorso finì, sapevo che avrei potuto essere uno di quei tre. Ero nervoso, pensavo di non essere all’altezza. Poi, l’ho visto camminare verso di me e ho pensato: ” Sono fuori” Ma lui è venuto da me e mi ha detto: “Allenati con calma, tu resti”. Credo di aver perso due o tre chili in quel momento. È stata una gioia personale immensa perché ho sentito che tutti gli sforzi e i sacrifici fatti per un mese – essendo stato meticoloso in ogni piccolo dettaglio – erano stati ricompensati. Sapevo quanto fosse alta la posta in gioco ed eravamo tutti convinti al 100% di poter vincere la Coppa del Mondo”.
Sulla partita contro il Messico ai Mondiali.
“Vincere contro il Messico è stato uno dei momenti più importanti che ci ha dato una spinta di fiducia. Quando Leo ha segnato, e poi Enzo ha chiuso la partita, sapevamo che ci saremmo qualificati perché eravamo sicuri di vincere contro la Polonia. Il calcio è pazzesco, perché anche ai Mondiali in Russia ho fatto la mia prima apparizione contro la Croazia. Quella partita fu diversa perché eravamo sotto 2-0, mentre questa volta eravamo in vantaggio e mi sono divertito un sacco. Quando sei lì e vedi che non c’è stata nessuna partita, pensi solo: questa è nostra “.
L’addio alla Juventus.
“La Juventus è uno stile di vita, e a livello professionale si cresce moltissimo, perché lì un pareggio è percepito come una sconfitta, quindi durante la settimana si lavora duro su ogni aspetto. Ascoltare leader come Buffon, Chiellini, Barzagli e Bonucci nello spogliatoio ti aiuta sicuramente a crescere. In tante partite, quando eravamo nel tunnel prima di entrare in campo, ascoltavamo gli avversari e intuivamo che molti di loro pensavano: beh, oggi perderemo, ma speriamo non di troppi gol. Questo la dice lunga sulla grandezza del club”.
Sulla chiamata di José Mourinho.
“In quel momento mi sentivo davvero strano: l’incertezza di non sapere dove avrei giocato, cosa sarebbe successo o se avrei dovuto lasciare l’Italia, che è praticamente diventata casa mia. Sono qui da 12 o 13 anni ormai e, onestamente, probabilmente conosco l’Italia meglio dell’Argentina a questo punto. Ricordo che all’epoca volevo aspettare un po’, prendermi una pausa. Ero a Torino, a casa. Un giorno, uno dei miei procuratori venne da me e mi disse che Mourinho voleva parlarmi. Certo, Mourinho è speciale: è un allenatore che ha vinto tutto, una persona unica. Non potevo ignorare la sua chiamata. Ma sapevo che mi avrebbe convinto, ed è per questo che ho voluto aspettare. La prima volta abbiamo solo avuto una bella chiacchierata, è stata una lunga conversazione, ma non ha fatto pressione per ottenere una risposta immediata. Ma il giorno dopo voleva richiamarmi, così gli ho detto di darmi qualche ora per parlare con la mia famiglia e mia moglie. Ho parlato con loro e con la mia squadra e, una volta presa la decisione di unirmi alla Roma, gli ho mandato un messaggio dicendogli: ‘A presto’. E con quello abbiamo concluso l’affare”.
Sulla presentazione al Colosseo Quadrato.
“È stata una delle poche volte nella mia vita in cui le gambe mi tremavano un po. Giochiamo a calcio davanti a 50.000 o 60.000 persone, ed è normale. Ma loro vengono per vedere uno spettacolo, per vedere la partita. Ma in quel momento, la folla era lì solo per me. Non mi aspettavo un’accoglienza del genere. I tifosi mi hanno davvero sorpreso. È stato qualcosa di bellissimo, un momento unico nella mia vita e nella mia carriera. E in quel momento, ho capito che avrei dovuto impegnarmi il doppio per restituire tutto l’amore che mi avevano dimostrato quel giorno”.
Sull’offerta di quest’estate dall’Arabia.
“Non mentirò, sono numeri che fanno davvero riflettere. Ma la verità è che sono molto felice qui a Roma e anche la mia famiglia è molto felice qui. Mia moglie è una parte molto importante della mia vita e la sua felicità è anche la mia, e se lo chiedete a mia madre, lei era quella che meno voleva che me ne andassi. Ho avuto una grande carriera e l’amore che ricevo dalla Roma, dai tifosi, dalla società, dalla proprietà e dalla gente in strada, non so se lo troverei da nessun’altra parte. Quando si mette qualcosa sulla bilancia, bisogna puntare su ciò che pesa di più, ed è per questo che abbiamo deciso di rimanere a Roma”.
Sull’esperienza ai Mondiali del 2022.
“Il salvataggio all’ultimo nella finale dei Mondiali su Mbappe? In quel momento non hai tempo di pensarci. Quando l’ho visto dopo, non sapevo nemmeno cosa stessi facendo lì. Quanto al mio rigore in finale, io sono sempre stato un rigorista. Sapevo di essere entrato dalla panchina al 100% per questo. Ero totalmente concentrato. Quando ho visto Coman sbagliare, mi sono ricordato di quello che Dibu Martínez aveva detto a Enzo Fernández prima dei rigori contro l’Olanda: se parassi un rigore per noi, il giocatore successivo deve calciarlo al centro. La pressione è sull’altro portiere e lui si tufferà di sicuro. Nessuno vuole fare la figura dello stupido in mezzo al campo in un Mondiale. Quindi sapevo che dovevo tirare al centro. Non ho avuto il minimo dubbio. Ho preso la palla e l’ho messa sul dischetto. Sapevo cosa dovevo fare. Dopo ho parlato con Dibu e gli ho detto che mi ricordavo il suo consiglio. Quando Paredes ha segnato, ci siamo guardati perché sapevamo di essere campioni del mondo. È stato bellissimo. Ho solo cercato di godermelo il più possibile, perché si sa, il tempo vola. Ho detto a Leo che ero felice per lui tanto quanto lo ero per me stesso. All’inizio della mia carriera guardavo ogni partita del Barcellona. Tutti volevano essere come lui. Ha dato tutto per l’Argentina”.