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·25. April 2025

30 anni senza Andrea Fortunato, Ravanelli: «Era fortissimo, l’erede di Cabrini, ma come amico era anche migliore»

Artikelbild:30 anni senza Andrea Fortunato, Ravanelli: «Era fortissimo, l’erede di Cabrini, ma come amico era anche migliore»

Il ricordo di Andrea Fortunato a 30 anni dalla sua morte dell’ex compagno di squadra alla Juve Fabrizio Ravanelli

Andrea Fortunato, talento promettente e giovane speranza della Juve, aveva solo 23 anni quando il destino gli ha strappato la vita. Arrivato da Salerno alla Vecchia Signora, il suo futuro sembrava radioso, destinato a raccogliere l’eredità di una leggenda come Cabrini. Ma il suo nome, che sembrava portare fortuna, si è rivelato ingannevole: la leucemia lo ha strappato via nel fiore degli anni, quando era ancora al culmine della sua carriera. La sua morte, avvenuta trent’anni fa, ha lasciato un vuoto profondo nel cuore di tifosi, amici e famiglia. Oggi, la Juventus e la Salernitana lo ricordano con affetto e oggi Sky pubblica uno speciale su di lui dal titolo “Corri, ragazzo corri…“. Di seguito il ricordo di Ravanelli a La Stampa.

COSA VI LEGAVA – «Il nostro rapporto era eccezionale. Eravamo due giovani con una voglia incredibile di emergere e imporci nella Juve. Prima di arrivare a Torino, avevamo già vissuto insieme l’esperienza del militare, nella Compagnia Atleti di Napoli. Poi, da quando era arrivato alla Juve, praticamente vivevamo in simbiosi, uscivamo spesso insieme anche con mia moglie e la sua fidanzata. Era un amico vero».


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DEDICA DELLO SCUDETTO AD ANDREA – «Era una dedica d’obbligo, perché lo sapevamo che Andrea aveva sempre vegliato su di noi. Era stato davvero il nostro dodicesimo uomo in campo per tutta la stagione, quello scudetto era soprattutto suo. Non dimenticherò mai quando venne a trovarci in ritiro prima di una partita con la Sampdoria».

COME CALCIATORE – «Un esterno mancino fortissimo. Aveva davanti a sé un grande futuro, poteva diventare il nuovo Cabrini. Chi lo paragonava a lui non lo faceva solo per quella chioma, ma perché era davvero fortissimo, già nel giro della Nazionale».

COME AMICO – «Il migliore. Abbiamo legato subito, siamo sempre andati d’accordo. Un rapporto naturale, stavamo bene insieme, anche fuori dal campo. Dopo, durante la malattia, mi sono legato anche alla sua famiglia, al fratello Candido, alla sorella Paola, ai genitori Peppino e Lucia. Ma era facile volergli bene, per tutto ciò che era».

GESTO DURANTE LA MALATTIA – «Vero, avevo messo a disposizione un mio appartamento a Perugia, libero, per dare alla sua famiglia l’opportunità di stargli vicino. Le cure si svolgevano a Perugia e ho cercato di farli sentire a casa come se fossero a Torino o Salerno. Ma non fu un gesto speciale, l’avrebbe fatto chiunque».

EPISODIO MEMORABILE – «Più che un episodio, è stato un comportamento quotidiano, nelle confidenze. Andrea ha sempre creduto di poter tornare ad allenarsi e a giocare con noi. Lui era stato allenato solo da Trapattoni alla Juve, così ci chiedeva com’era Lippi. Noi gli rispondevamo che era un sergente di ferro e lui commentava: “Allora mi troverò bene, anche se ci scontreremo…”. Aveva una personalità forte, eravamo tutti sicuri che sarebbe stato importante per uno come Lippi, anche perché inizialmente il suo ruolo era rimasto scoperto. Ha provato davvero a sconfiggere la malattia, ha sempre sperato, con una forza incredibile».

COSA CI HA INSEGNATO – «A non abbatterci mai, anche nei momenti difficilissimi. Ha lottato dal primo giorno contro la malattia e lo faceva anche quando non sapeva di averla. Non si lamentava mai, pur essendo debole. La sua storia è una lezione di vita per tutti noi. La vita è una lotta continua, lui l’ha combattuta in maniera onesta, con grande dignità. Alla fine ha perso, ma ha reso dura la malattia, non si è mai abbandonato, ha sempre lottato contro il destino».

RICORDO DI ANDREA – «Con il sorriso, tornando alle serate in camera a Villar Perosa. Lo ricordo con il sorriso, la voglia di giocare e di vincere. Il flash è quel suo cross per il mio gol di testa in Coppa UEFA contro il Kongsvinger, poi l’abbraccio. Trent’anni dopo, i momenti vissuti insieme sono indelebili, non sono assolutamente svaniti».

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